Melelli don Marzio

Un prete del Novecento

Melelli don MarzioAd uno ad uno i preti che hanno segnato la vita della comunità folignate nella seconda metà del ‘900 ci stanno lasciando. C’era una cattedrale piena, sabato scorso, a dare l’ultimo saluto a Don Marzio Melelli. Di persone che lo avevano conosciuto, che gli erano state complici, credenti e non credenti.
Non so valutare la missione di Don Marzio su un piano strettamente religioso. Del resto, la sapienza di quel grande Vescovo che fu Siro Silvestri aveva disposto una specie di divisione vocazionale di ruoli nella parrocchia di San Feliciano: al parroco Don Decio, sacerdote di finissima sensibilità, la parte spirituale e l’intima carità, a Don Marzio, suo vice, i giovani e il sociale. E Don Marzio ci si era buttato con passione. In queste pagine vengono ricordate le quattro tappe fondamentali della sua testimonianza: la fondazione della polisportiva Vis, l’insegnamento all’Istituto Commerciale, la promozione della cooperativa sociale Foligno ‘84, l’impegno per il lavoro dei giovani.
Tutti mondi ampiamente rappresentati in cattedrale da ragazzi e ragazze diventati ormai uomini e donne adulti. C’era, ad esempio, un bel pezzo della prima squadra di calcio della Vis, a partire dalla difesa, con Valecchi, Sammaciccia e Landi. C’erano, nei primi banchi, due mediani destinati poi ad avere successo in politica, per giunta nel Pci, come Nando Mismetti e Pierluigi Mingarelli. Ce n’erano molti altri, pure della Vis Pallavolo e della Vis Pallamano. Ricordo bene quei tempi, perché mi capitava di incrociare la squadra di calcio, fondata giusto nel 1964, da arbitro. Un allenatore rigorosissimo e tosto, come Mario Fiore, e un presidente galantuomo come Pierino Castellani. Poi c’era il factotum: quel prete tifoso, che si dava da fare per trovare risorse ovunque fossero, per le divise sociali, per costruire in proprio un campo di gioco, per tentare l’avventura nei campionati dilettanti. Ricordo anche, in tempi successivi, una curiosa polemica che vide contrapposti me, da un lato, e Castellani e Don Marzio dall’altro. Nell’ennesima partita di calcio un arbitro insoddisfacente era stato “sballottato” negli spogliatoi da qualcuno della Vis. Io criticai quel comportamento scrivendo sulla Gazzetta “Che succede alla Vis?”. Castellani e Don Marzio la presero malissimo, risentendosi con me e con il giornale. In quella loro replica c’era tutto: un po’ di coda di paglia, ma anche la preoccupazione di difendere il nome e il ruolo educativo ed etico della società. Facemmo poi pace in allegria, come si conviene a complici sportivi, tra l’interista Don Marzio e il sottoscritto milanista.
Come insegnante alle Commerciali Don Marzio rivelava probabilmente una sua personale nostalgia, quella di un ragazzino di montagna rimasto troppo presto orfano ed affidato quindi – come si usava all’epoca – al seminario e al successivo destino da prete. Cercava tra gli allievi e le allieve quella complicità che a lui era mancata da bambino, anche se aveva trovato in Don Decio e nei Vescovi Siro Sivestri e Giovanni Benedetti dei punti di riferimento solidi e presenti.
Quanto all’impegno nel sociale, troviamo qui un’altra sua caratteristica. Sempre in cerca di aiuti e sostegni per le sue iniziative e per il lavoro dei giovani, Don Marzio non esitava a fare campagna elettorale per questo o quell’onorevole, per questo o quell’amministratore. Oggi si vedrebbe in ciò un’ombra di voto di scambio, ma al tempo (e non solo) funzionava così. Magari poi non tutti i politici erano grati a questo prete attivissimo, non tanto per sé, quanto per le sue opere sociali e per gli altri.
Il Vescovo Gualtiero Sigismondi, attento a tutti coloro che gli stanno intorno e particolarmente sollecito con i malati, ha saputo ricordarlo in maniera puntuale, efficace, affettuosa. Un laico come me può aggiungere solo una cosa alle sue belle parole: Don Marzio era umano, molto umano, con tutti i pregi e i difetti degli uomini. Forse, se fosse nato oggi, non sarebbe neppure diventato prete. Ma è certo che il sacerdozio ha regalato alla sua vita una profondità e un senso che difficilmente avrebbe altrimenti raggiunto.

© Gazzetta di Foligno – ROBERTO SEGATORI

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