S Maria del Prato Belfiore

Santa Maria del Prato di Belfiore

S Maria del Prato BelfioreLa chiesa di Santa Maria Assunta di Belfiore, costruita a partire dal 1683, custodisce un affresco quattrocentesco che proviene da un’edicola viaria del paese, nota come Santa Maria del Prato. Nel 1641 attorno all’edicola venne costruito un edificio religioso, fatto che testimonia la particolare devozione tributata all’immagine sacra da parte degli abitanti di Belfiore. Nella Visita Pastorale di monsignor Antonio Montecatini, che giunse presso la chiesa della Madonna del Prato di Belfiore il 18 ottobre 1643, si legge che, oltre all’altare maggiore, al suo interno erano presenti tre cappelle, dedicate a Sant’Antonio da Padova, a Santa Maria della Concezione e a Santa Maria di Loreto. Come riferito dall’allora priore parroco Alessandro Cantarelli, l’edificio venne demolito nel 1872, durante i lavori di ampliamento della strada che attraversa il paese, ma fortunatamente si decise di preservare l’affresco principale, che fu strappato e collocato sul terzo altare a cornu evangeli della chiesa parrocchiale.
Nel dipinto è raffigurata la Madonna in trono col Bambino, quest’ultimo ritratto con una rosa in mano, tra due angeli reggi-cortina e due figure di santi. Il santo a sinistra, in passato identificato con Vincenzo Ferrer, è in realtà San Nicola da Tolentino, come si può ricavare dall’iscrizione riportata sulle pagine del libro che tiene in mano: «Preciepta [sic] patris mei hoservanti [sic] om(n)ia mandata tua [?] di ss[. Si tratta di una versione particolare, e alquanto scorretta, della frase che talvolta caratterizza l’iconografia di Nicola da Tolentino e che identifica il libro della Regola agostiniana: «Praecepta Patris mei servavi semper», simbolo dell’obbedienza alla volontà di Dio attraverso l’osservanza degli insegnamenti di Sant’Agostino.
A destra si vede invece San Bernardino da Siena, facilmente riconoscibile per il colore chiaro del saio, il volto emaciato e perché con la mano destra mostra una tavoletta raggiata contenente in origine il monogramma di Cristo (JHS, Jesus Hominum Salvator): Bernardino si prodigò a diffondere in tutta la cristianità questa sigla, che per questo è nota anche come trigramma bernardiniano. Nella mano sinistra il santo sorregge un libro dalle pagine aperte, dove, per ulteriore chiarezza, sta scritta la frase giovannea «Pater, manifestavi nomen tuum hominibus que su[nt]» (Gv 17,6). Amadio Maria da Venezia, autore di un Vita di S. Bernardino da Siena propagatore dell’Osservanza nell’ordine de’ Minori, edita a Roma nel 1826, scrive così in merito a questi particolari iconografici: «[Bernardino] si dipinge col nome di Gesù nelle mani espresso in una tabella cinto e coronato da’ raggi come di sole, perché […] egli esponeva questo santo nome in tal forma all’adorazione de’ popoli nelle sue prediche. Sogliono alcuni aggiungervi quelle parole di s. Giovanni: Pater manifestavi nomen tuum hominibus, per esser’egli morto come sta scritto nella vita, nella ora de’ primi vesperi della ascensione del Signore, in quel punto che da’ frati si cantava nel coro questa antifona al cantico verginale». Bernardino fu proclamato santo nell’anno 1450, da Papa Niccolò V: questa data rappresenta pertanto un terminus post quem per l’esecuzione del dipinto di Belfiore.
L’affresco, sebbene pesantemente ridipinto, presenta caratteri stilistici riconducibili al pittore Cristoforo di Jacopo, come rilevato da Filippo Todini. La mano di Cristoforo si riconosce in modo particolare nel volto di San Nicola e soprattutto nei tipici angioletti reggi-cortina che caratterizzano numerosi dipinti dell’artista folignate. Cristoforo di Jacopo è pittore contemporaneo dei più conosciuti Nicolò detto l’Alunno e Pierantonio Mezzastris, documentato dal 1448 al 1506, già morto nel 1508. Fu attivo soprattutto nell’interland folignate, come nelle chiese di San Feliciano di Mormonzone e di Santa Maria in Campis e, a mio giudizio, nell’oratorio Barnabò, ma anche a Sant’Eraclio e ad Acqua Santo Stefano; sue opere sono poi individuabili a Spello, Montefalco, Assisi, Serravalle del Chienti. Nel santuario di Santa Maria delle Grazie di Rasiglia firmò un Sant’Antonio abate e storie della sua vita, sulla parete sinistra, accompagnando la firma con la datazione, 1467 – dati oggi non più leggibili. La stessa mano del Sant’Antonio abate si riconosce in numerosi altri soggetti che decorano le pareti interne del santuario. Le opere di Cristoforo coniugano felicemente, pur nella ripetitività dei temi e delle soluzioni formali, i riferimenti al caratterismo grafico del grande pittore folignate Bartolomeo di Tommaso con un’adesione al gusto aneddotico tipico della tradizione pittorica locale, risalente a Giovanni di Corraduccio.

© Gazzetta di Foligno – EMANUELA CECCONELLI

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