Cesarini Mons Dante

Chissà, clericale!

Clericale è un aggettivo nato innocuo; voleva dire semplicemente appartenente al clero, o tipico del clero, come per esempio celebrare certi sacramenti. Ma tra Settecento e Ottocento cominciò a significare qualcosa di impositivo, di asservitore, di dispotico. Al contrario, l’anticlericale poteva vantarsi di essere libertario, democratico, cittadino rispettabile e rispettoso.
Però il destino di questa parola non s’è fermato qui, perché clericale è divenuto via via un insulto molto generico e variamente usato, ha cominciato a indicare qualsiasi uomo, o gruppo, o cenacolo chiuso nella sua cultura, nei suoi piani politici, nelle sue pretese psicologiche, autoreferenziale al punto di voler prendere le decisioni non per servire gli altri uomini, ma per asservirli, sostituendo la propria alla loro libertà.
Le parole hanno spesso un curioso destino, per cui passano da un significato originario a un altro non programmato, spesso opposto, comunque diverso. Ve l’immaginate un “clericale fuori dal campo religioso”, tutto immerso in convinzioni antireligiose? Ve l’immaginate un giacobino, “ clericale incredulo”? è l’ultima cosa che i preti parigini condotti alla ghigliottina potevano immaginare, davvero l’ultima, eppure è diventata, in seguito, espressione nello stesso tempo curiosa e vera. Giustamente Sartre poteva dire che gli atei tutti affannati a esporre le loro idee di incredulità anche quando la gente si rilassa e va al bar, questi atei gli davano fastidio, erano indisponenti…
Al di là del destino talvolta curioso delle parole, il termine “clericale” significò, all’inizio, un carico di significati odiosi. Prima di tutto alludeva all’intenzione di piegare a proprio vantaggio quella Potenza invisibile che s’interessa del destino degli uomini; significava inoltre l’imposizione, da parte dei capi di religioni, di pesanti dogmi e di un culto servile, precisamente quello che “asservisce la folla e la priva della sua libertà morale col metterla a servizio di una chiesa”; in poche parole, denunciava il dispotismo che “non ha bisogno di convincere, ma soltanto di comandare”. Avveniva una messa in guardia, attraverso la parola “clericale”, davvero utile, perché sarebbe stata una piaga sociale quel clero che dominasse anche sullo Stato non certamente con la forza, ma mediante l’influsso che esso esercita sulle anime; sarebbe stata cancrena ipocrita la rappresentazione ingannevole dei pretesi vantaggi che lo Stato può trarre da un’obbedienza incondizionata, alla quale la disciplina ecclesiastica avrebbe tentato di abituare il pensiero del popolo.
All’opposto, la vocazione del clero è la liberazione del popolo dalla superstizione e dalla magia, dalla paura del destino e dall’ignoranza attiva, dall’asservimento da parte di qualsiasi potere politico e dalle mode culturali, che impediscono di pensare e valutare. Dov’è scritto “la verità vi farà liberi” , lì abita il clero degno di se stesso. Il clero non clericale! Il clero non preoccupato di essere servito, ma teso a servire. Chissà, forse dobbiamo desiderarlo tutti, credenti e non credenti.
dantecesarini@virgilio.it

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