L’amianto abbandonato e il cronista barocco
In via Ferraris bandoni d’amianto ai piedi del cassonetto
Sollecitato da pressanti richieste di intervento sul campo, il vostro cronista – benché poco avvezzo ad indagini di questo tipo – ha dovuto dar seguito a quanto alcuni lettori della Gazzetta gli hanno nei giorni scorsi ripetuto con veemenza non incline ad indugi, remore o lentezze. E così, invece di inoltrarsi nei profumi secenteschi di mescite e arrosti, anziché indulgere al gusto barocco fra lo scintillìo di zimarre e durlindane, al cronista gazzettiere è toccato far tappa all’inizio di via Ferraris, nei pressi del bidone dell’immondizia il quale, a onor del vero, non riesce a farsi apprezzare per delicatezza di piacevole olezzo. Ma tant’è: turarsi il naso di questi tempi riesce facile, in virtù di tanto allenamento. Il problema vero è che la premura dei molti ad incalzare il vostro cronista è più che giustificata, tanto – vorrei dire – che ad agire oggi stesso sarebbe già un agire in ritardo. Abbandonati a terra nei pressi del bidone, giacciono infatti alcuni bandoni di amianto. Ora, so per certo che, ai piedi dei bidoni, riescono bene diverse riedizioni di soggiorni con televisori e sedie, talvolta anche con materassi che fanno molto pendant, cucinette con l’adesivo di Calimero e specchiere o parti di esse poeticamente poggiate al bidone come svenevoli femme fatale primonovecentesche. Però via: l’amianto! Ai buontemponi ignari (devo credere) di perpetrare un attentato alla salute pubblica, va ricordato che la legge 27 Marzo ‘92 n° 257, oltre a vietare l’estrazione, l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di amianto, di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto, regolamenta anche le misure di rimozione e smaltimento di tale tipo di silicato. La legge, in sostanza, non obbliga alla rimozione dell’amianto, ma solo al suo mantenimento in buono stato di conservazione: se però, per qualsiasi ragione, l’amianto deve essere rimosso (ed evidentemente tale doveva essere l’esigenza dei buontemponi), allora in questo caso scatta ope legis l’obbligo di smaltimento. E per i buontemponi scatta la promozione di grado a criminali. In primo luogo per il motu proprio di smantellamento dell’asbesto in barba a tutte le disposizioni di sicurezza per sé e per gli altri, dato che a nessuno – buontempone o meno – è data facoltà di azione in tal senso, e in secondo luogo per l’abbandono di un materiale tanto dannoso per l’ambiente e letale per la salute delle persone (i bandoni dei quali stiamo parlando presentano sfaldamento e dunque friabilità). È vero che, giusto per restare in clima secentesco, a saper ben maneggiare le leggi nessuno è reo e nessuno è innocente, ed i solerti inquinatori (devo credere) avranno senz’altro avuto a mente certe ingiunzioni azzeccagarbugliesche, ma il buon senso è trasversale, o dovrebbe esserlo, e dovrebbe riempire di sé ogni ambito del vivere civile. Vogliamo concedere anche che viviamo in Italia e che a queste latitudini si addicono certe malleabilità – tutte leopardianamente mediterranee – che rendono duttili molte verità? Concediamolo: ma la sentenza di condanna per disastro doloso al processo Eternit sta lì come monito severo anche nei riguardi dei superficiali lestofanti di paese. Che però non credo abbiano letto una riga di quella sentenza. E non credo leggano la Gazzetta. (Un’ultima nota del noioso cronista rivolta agli operatori: i bandoni di via Ferraris sono stati coperti con un telo di plastica. Chiedo: sono stati trattati anche con la vernice incapsulante? Che cronista barocco!)
© Gazzetta di Foligno – Guglielmo Tini