Anche io sono un uomo
Riflessioni sulla rinuncia di Papa Benedetto XVI
Ora che il silenzio è sceso per sempre sulla vita di Joseph Ratzinger, mentre i cardinali si preparano alla più difficile opera di discernimento, mi pare affiori in una porzione del Popolo di Dio, non saprei dire quanto ampia, una sorta di turbato smarrimento. Il sentimento di delusione che percepisco, alimentato da tesi complottiste più o meno fantasiose e da qualche isolato gesto inconsulto, evoca in me l’eco delle voci dei discepoli di Emmaus: “Noi speravamo…”.
Benedetto XVI si era infatti conquistato, anche tra gli scettici della prima ora, un credito di considerazione e d’affetto. La cristallina fermezza con cui ha affrontato in questi anni i diversi scandali che hanno colpito l’istituzione ecclesiastica, la paterna autorità con la quale non ha mai smesso di richiamare vescovi e presbiteri a comportamenti realmente evangelici, la disarmante umiltà con la quale ha saputo allacciare il dialogo con non credenti e fedeli di altre religioni, lo hanno reso un riferimento spirituale e morale universale.
“Noi speravamo…”. Il verbo sperare coniugato all’indicativo imperfetto è il marker dell’incomprensione più profonda, la stessa che investiva il Maestro ogni volta che annunciava ai discepoli la sua Passione. Mi pare che il gesto di Benedetto XVI richiami in modo luminoso il contrasto tra ciò che è fallimento agli occhi degli uomini ed è invece vittoria davanti a Dio. Con la sua scelta il Papa, più che evitare la croce, come egli stesso ha avuto modo di dire durante la sua ultima udienza generale, manifesta una disarmata disponibilità a salirvi: accetta responsabilmente la propria condizione di debolezza e la volge al bene della Chiesa. Lo scandalo suscitato ne è, in qualche modo, una prova.
Mi pare che l’incomprensione e lo sconcerto generato da questo gesto, sentimenti minoritari, ma non assenti, abbiano a che fare anche con una distorta interpretazione della ministerialità. Confondiamo la grazia che opera nella fragilità umana (a volte malgrado essa!) con un potenziamento di facoltà prettamente umane o con una meccanica divinizzazione! È lo stesso Pietro a sollecitarci a non cadere in questo genere di errore, ad ammonirci di non fare di alcun uomo (nemmeno del Papa) un dio o un semi-dio. Nel capitolo 10 degli Atti degli Apostoli Pietro rialza Cornelio che si era inginocchiato per rendergli omaggio e gli dice: “Alzati, anche io sono un uomo!”. Durante il suo pontificato Benedetto XVI ha fatto ogni sforzo per smitizzare la figura del Papa e questo suo ultimo gesto è solo il naturale compimento di un percorso. Il pellegrino Joseph si è fatto lungo il cammino sempre più piccolo, divenendo passo dopo passo sempre più grande.
Dobbiamo riconoscere che il gesto del mite teologo tedesco fa scandalo anche perché richiede un’assunzione di responsabilità da parte di tutto il Popolo di Dio. Fa comodo pensare che vi sia un solo uomo, santo per definizione, reso perfetto dalla nomina e dall’abito bianco, ad avere in mano le sorti della Chiesa di Dio (salvo comunque il diritto di criticarlo, anche aspramente, quando dice o fa qualcosa che non ci piace). Oggi però, davanti a Pietro che dice “Anche io sono un uomo” e lascia vuoto, seppur solo per qualche giorno, il seggio pontificio, dobbiamo ricordarci che nella Chiesa non vi è che un capo, Cristo, e che tutti i battezzati sono corresponsabili, ciascuno secondo il proprio carisma e il proprio ministero, del cammino della Chiesa nella Storia.
© Gazzetta di Foligno – Villelmo Bartolini