Verso il voto. Molte le domande
Chi vincerà le elezioni? Poniamoci prima altre domande. Quanto sarà forte l’astensionismo che, a furia di scandali e corruzione, mostra una crescente disaffezione dei cittadini verso la politica e le consultazioni elettorali? Quanto consenso potrà avere il nuovo populismo, oggi più multiforme di ieri? E potrà mai esso, con i tanti dilettanti allo sbaraglio, facilitare l’attuazione di un qualsiasi progetto di governo? Astensionismo e populismo hanno fatto correre ai ripari i partiti – dove almeno il PD ha avuto il coraggio di primarie e liste pulite -, e proprio su di essi si appuntano i nostri interrogativi più decisi. Chi non è stato in grado di far fronte alla grave emergenza economica dell’Italia – l’estate 2011 la si ricorderà come la fine delle illusioni e delle facili promesse – potrà essere in grado oggi di traghettare il Paese oltre i mesi duri che ancora ci attendono? “Io ritorno con disperazione e lo faccio per senso di responsabilità” ha dichiarato Berlusconi, deciso ora a fare quelle riforme già annunciate e non attuate nei suoi precedenti governi. Ma l’Italia non ha oggi bisogno soprattutto di leader capaci di suscitare speranza e affidabilità sia nel Paese che all’estero? Il PD si candida a governare e ha i favori dei sondaggi, ma ce la farà a compiere una svolta compiutamente riformistica? Dopo aver sostenuto lealmente, anche con sacrifici, il governo Monti, per fargli fare quelle riforme necessarie da anni che lo stesso PD avrebbe potuto fare quando era al governo, saprà ora realizzare quell’insieme di riformismo e liberalismo, di rigore e crescita che la stagione berlusconiana non è stata capace di attuare e che il governo dei tecnici ha solo avviato? Di sicuro il governo dei tecnici ha rappresentato una sorta di ritirata strategica delle due coalizioni, più attente a calcolare l’orizzonte breve del proprio interesse elettorale che quello più lungo del bene del Paese. Tutto questo ha rafforzato la nota idea neocentrista di scompaginare una volta per sempre il bipolarismo, ritenuto incapace di governare le sfide decisive, perché debitore elettoralmente alle proprie ali populiste e massimaliste. Questa idea, che “il centro” di Casini coltiva da vent’anni, appare ora più fattibile che mai, rafforzata soprattutto dalla “salita in politica” del prof. Monti. Resta però la domanda se il moderatismo centrista, con il pendolarismo che gli è proprio e il convergere ora di tanti spezzoni di vecchio ceto politico, sia attrezzato per le grandi riforme o per continuare a darci l’Italia che abbiamo. Il “centro”, insomma, sarà un valore aggiunto o un freno per i suoi possibili alleati? E poi, quali alleati vuole scegliere? E su quali programmi? Perché non dichiarare gli uni e gli altri prima del voto? Il bipolarismo, infine, potrebbe avere oggi il nemico più insidioso nel populismo protestatario. In un momento di crisi e di declino, i problemi da affrontare diventano molto complessi ed ecco – se da destra o da sinistra non sempre è chiaro – i grandi semplificatori della realtà: anche Grillo, Di Pietro, Ingroia avranno consensi, ma basteranno le sparate demagogiche a governare un Paese?
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI