Foligno cambia pelle
Probabilmente i folignati se ne sono già accorti da soli, a naso. Ma non è male specchiarsi nei dati oggettivi che l’Istat e le ultime indagini economiche congiunturali ci dicono sulla condizione di salute di Foligno. Vediamo prima la situazione demografica. Al censimento del 2001 il comune aveva accusato una pericolosa battuta a vuoto: 51.130 residenti contro i 53.202 del 1991, con un calo di quasi il 4%. C’era stato il terremoto, è vero, ma altri indicatori stavano a denunciare la gravità della crisi. Primo fra tutti l’indice di vecchiaia. Il rapporto tra il numero degli ultrasessantacinquenni e il numero dei giovani fino ai 14 anni era arrivato a 175,3, ovvero 175,3 anziani ogni 100 ragazzi.
Da questo punto di vista il censimento del 2011 ci consola. La popolazione è risalita a 56.131 residenti e l’indice di vecchiaia si è abbassato a 173,5. In Umbria è pari a 178,8 (170,3 in provincia di Perugia e 205,5 in provincia di Terni). Decisamente peggio di Foligno, oltre al Ternano e alla Valnerina, sta Spoleto: 209,5. Questa dinamica è spiegata dal saldo della popolazione, costituito dalla differenza tra il numero di nati+immigrati e il numero di morti. Nel periodo 2002-2010 tale saldo a Foligno è stato costantemente positivo (+7.013 complessivi), ma ciò si deve solo al numero di immigrati (7.930) in quanto il saldo naturale (nati-morti) si è mantenuto sempre su valori negativi, per un totale di -917. Resta infatti basso l’indice di carico di figli (fino a 4 anni) per donna feconda: era di 2,7 nel 2002 e diviene di 1,9 nel 2010.
Insomma la prima lezione da trarre è che, al netto delle popolazioni mobili in arrivo da altri comuni italiani, il fragile equilibrio demografico del comune di Foligno si deve essenzialmente agli immigrati stranieri. Al 1° gennaio 2011 essi erano 7.379, pari al 12,7% della popolazione residente, una delle più alte d’Italia. La comunità straniera più numerosa è quella proveniente dall’Albania con il 30,6% di tutti gli stranieri presenti sul territorio, seguita dalla Romania (19,9%) e dal Marocco (10,5%). Tra gli albanesi, i marocchini e i macedoni gli uomini sono più numerosi delle donne. Il rapporto si inverte tra i romeni, gli ucraini, i polacchi e i latino-americani. Dietro i numeri c’è dunque il primo cambiamento di pelle della città: nelle scuole, nei vicoli e nelle piazze i vissuti multiculturali sono ormai una realtà. Si è folignati da molte generazioni, ma anche folignati-albanesi, folignati-romeni e folignati-marocchini, tanto come genitori quanto come figli.
La seconda pelle che cambia è quella della situazione economica. Le indagini congiunturali della Camera di Commercio ci dicono che a Foligno regge bene l’industria manifatturiera: il polo della meccanica fine alla Paciana, con l’Umbra Cuscinetti su tutte, e il polo industriale a sud, con i successi di Muzzi, di Bazzica e la ripresa di Caprai.
I due settori che invece risultano in piena crisi sono l’edilizia e il commercio. Nel primo caso non è tutto il settore delle costruzioni ad accusare battute a vuoto: alcune rilevanti opere pubbliche (il cantiere della SS77, il rifacimento viario nel centro) consentono il mantenimento di commesse per le imprese specializzate nella produzione di inerti e nei lavori infrastrutturali. Ma per le aziende che hanno investito nella costruzione di case il mercato è ormai saturo, con numerosi appartamenti invenduti. Poi c’è la crisi del commercio, che s’accompagna al ridimensionamento occupazionale del terziario in genere (scuole, banche, pubbliche amministrazioni). I negozianti del centro storico – gloria tradizionale della Foligno città di scambi sull’intersezione della Flaminia con la Lauretana e la Via Perugina (SS75) – sono in sofferenza sotto i colpi di due fattori: la gravissima crisi economica nazionale, che sta riducendo la liquidità dei consumatori, e la lentezza e l’ingolfamento dei lavori di ripavimentazione delle vie cittadine. Probabilmente tra un paio d’anni la città sarà più bella di prima, ma il rischio è che il risultato sia solo un processo di imbalsamazione di ciò che fu.
La nuova pelle di Foligno ha dunque questi caratteri: il colore del multiculturalismo, il calore dell’associazionismo in continua espansione, la tempra dell’industria manifatturiera, ma il grigio dei negozi della tradizione cittadina. È inutile dire che i primi tre processi ci piacciono; molto di meno ci piace l’ultimo, che andrebbe diversamente colorato perché è legato all’identità storica del nostro territorio.
Roberto Segatori