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La bassa stagione del diritto

L’eclissi della legalità nel nostro paese ha origini antiche. Così come l’inseparabilità tra vita politica e corruzione. La fiammata di tangentopoli è stata fugace e non ha aperto la strada ad una più alta moralità politica e civile. Parlamenti e Consigli sono di nuovo pieni di uomini politici compromessi e spregiudicati. Con delle aggravanti inedite: quelli della prima repubblica tremavano e si vergognavano di fronte ai giudici, quelli della seconda repubblica manifestano sfacciataggine ad ogni ripresa televisiva, quasi autocompiacendosi, sicuri di farla franca. E non è detto che non vi riescano, sia per la politica perdonistica di questi anni (sanatorie, condoni, prescrizioni e amnistie, depenalizzazioni di gravi illeciti già commessi …), sia perché ai ricchi l’iter processuale permette oggi difese attrezzate per rimandare alle calende greche la sentenza e ottenere la prescrizione. Ma per i poveri cristi non è così. C’è una sorta di doppio diritto: uno rigoroso e rapido per gli uomini comuni che sgarrano, un altro più elastico e malleabile, che permette ai potenti l’impunità. Per i primi vale la forza del diritto, per i secondi il diritto della forza. E così viene meno il principio di uguaglianza davanti alla legge. L’eclissi della legalità e la mortificazione del diritto si sono accentuate anche a seguito di precise scelte politiche, come la depenalizzazione del reato di falso in bilancio, la sostanziale impunità a chi paga un contributo per il rientro di capitali illecitamente esportati, le modifiche processuali a favore di imputati potenti per rendere più difficile il regolare svolgimento del processo, e così via. Ma la Chiesa, ci chiediamo, come ha reagito di fronte a questi strappi? Non sono mancate, anni fa, parole di critica e di denuncia, ma si poteva fare di più contro i “peccati” che inquinano la vita sociale, frantumano la legalità, favoriscono gli interessi privati su quelli pubblici. Risale al 1991 la Nota dei Vescovi italiani su Educare alla legalità, dove si denunciava il rischio che “le leggi, che dovrebbero nascere come espressione di giustizia, e dunque di difesa e di promozione dei diritti della persona, e da una superiore sintesi degli interessi comuni”, a causa del prevalere di poteri e interessi forti, finiscano col trasformarsi in “leggi particolaristiche, cioè in favore di qualcuno”. Si criticava anche una classe politica che “con il frequente ricorso alle amnistie e ai condoni, annulla reati e sanzioni e favorisce nei cittadini l’opinione che si possa disobbedire alle leggi dello Stato. Chi si è invece comportato in maniera onesta può sentirsi giudicato poco accorto per non aver fatto il proprio comodo come gli altri, che vedono impunita e perfino premiata la loro trasgressione della legge”. Parole profetiche, verrebbe da dire pensando all’oggi. E le richiamiamo perché, vent’anni dopo, quelle storture allora denunciate risultano elevate al quadrato. E perché la Chiesa – poi fattasi più silente su questi punti – non rinunci alla profezia per la diplomazia, al bene comune per il bene della comunità ecclesiale. Ora è tempo di parlare. Ed è tempo soprattutto di coerenza.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI

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