“Sento sempre meno mia questa città”
Le impressioni di Sara Segatori, giornalista Rai e nostra concittadina
Torno a Foligno dopo parecchio tempo. Decido di fare due passi, un giro in centro. Passeggio quasi come una turista, ormai, in quella che è stata la mia città per vent’anni e passa. Piove, non è facile muoversi per le strade che sembrano un unico cantiere. Devo aggirare scavi, transenne, passerelle strette e scivolose, così ne approfitto per attraversare vicoli lungo i quali normalmente non cammino. Riconquisto via Mazzini, arrivo in Piazza San Domenico: completamente stravolta. Lo sapevo, l’avevo letto, me l’avevano detto. Eppure, quegli alberi che non ci sono più mi rattristano non poco. Si deve ripristinare l’aspetto che la piazza aveva ai primi del ‘900, sembra, eliminare i pini, le palme, pavimentare. E così, in nome del ripristino dell’originale, addio a quei pochi metri quadri di verde che hanno fatto compagnia a tanti di noi da adolescenti, a molti anziani, a tutti quei folignati che li avevano fatti propri. Che peccato… Le dispute politiche intorno alla “questione Piazza San Domenico” non mi interessano. Da privata cittadina affezionata a Foligno – che segue però le sue dinamiche in modo più distaccato di chi, qui, continua a vivere – mi chiedo quanto conti sempre e sopra ogni cosa il “ripristino dell’originale” in ogni sua forma. Quanto questo conti di più, rispetto all’affezione dei cittadini, alla nuova identità che una città ha assunto nel tempo. Non era possibile trovare una via di mezzo? Togliere i cassonetti, la cabina telefonica, i parcheggi? Magari pavimentare, anche. Lasciando però uno spazio per quegli alberi? Quale ecologia c’è, in tutto questo? Negli ultimi anni, ben poche scelte estetiche ed architettoniche – a parte la chiesa di Fuksas, che apprezzo particolarmente – mi hanno trovato d’accordo in quella che fu la mia città e che adesso, mio malgrado, sento sempre meno mia. Prima tra tutte, la scelta di ricostruire il famoso “torrino” del comune – crollato per il terremoto del ’97 – così com’era. Da non architetto quale sono, avevo accarezzato l’idea di consolidare la parte rimasta e completarla, magari, con una struttura fatta con altri materiali, ben distinta, a memoria del sisma. E poi, le sorti dell’area e della struttura dell’ex zuccherificio. Non credo di poter essere considerata una “nostalgica”, a nemmeno 40 anni. Penso soltanto che nell’identità di una città conti anche altro rispetto al mero ripristino architettonico. Perché una città è una cosa viva, la sua identità muta nel tempo. Ed è fatta anche di qualche albero e di un’aiuola.
Sara Segatori