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Lourdes, appunti di viaggio

Momento del pellegrinaggio diocesano a Lourdes, Fotostudio Futura

Ogni pellegrinaggio, se fatto con l’intenzione autentica di cercare il Signore insieme ad altri fratelli nella preghiera e nella Parola meditata, non può che essere un’esperienza spirituale profonda. Sicuramente il Pellegrinaggio Diocesano a Lourdes è stato per tutti i circa 240 partecipanti un’occasione unica e irripetibile nel cammino di fede di ciascuno, che già per il fatto di compiere un itinerario di vita terrena, che ha un inizio e una fine, è per ciò stesso pellegrinante. Chi come me è andato a Lourdes senza pretese, ma con il cuore aperto a ricevere la Grazia del Signore, anche attraverso l’intercessione della Vergine Maria, ha potuto sperimentare come il Signore può “sorprendere”.
Il Vescovo in più di un’occasione ha ribadito che «quando ci si abbandona al Signore ci si sorprende». Così è stato per Pietro quando contro la sua volontà e il suo buon senso, ha gettato le reti. Solo dopo che egli ha riconosciuto il miracolo e ha fatto la sua professione di fede dichiarandosi “peccatore”, Gesù gli dice che sarà “pescatore” di uomini. Spesso il Signore chiede non solo di lasciare la barca per seguirlo, ma anche i pesci che lui stesso aveva fatto pescare. Ci può chiedere di lasciare anche ciò che lui stesso ci ha fatto conquistare.
Insieme ad esperienze spirituali intime e incomunicabili che ciascuno di noi ha fatto durante i momenti liturgici e non solo, esperienze comunitarie di Chiesa sono state sicuramente la partecipazione alla “Messa Internazionale”, presieduta dal nostro Vescovo, la Processione Comunitaria notturna “aux flambeaux”, la “Processione Eucaristica” e l’Assemblea Pastorale Diocesana presieduta dal vescovo Gualtiero. In questi momenti sì è sperimentato il volto bello della Chiesa universale, che poggia sulla “roccia” che è Cristo e che ha per madre Maria (Paolo VI così la invocò alla fine del Concilio Vaticano II, come nel Concilio di Efeso era stata denominata “Madre di Dio”).
Per scoprire il volto della Chiesa, occorre fissare il volto di Maria che a Pentecoste si è fatta interprete e portavoce del Figlio suo: “ut unum sint”. Ha ancora detto, il nostro Vescovo, che la Vergine ha tenuto insieme il Consiglio Apostolico nell’attesa della Pentecoste ed è importante che ancora oggi i credenti riscoprano a livello personale ed ecclesiale “l’attesa” come atteggiamento. Maria insegna alla Chiesa ad obbedire al figlio suo “qualunque cosa abbia a dirvi Gesù, fatelo”. Alla scuola di Maria si impara ad essere semplici, a non dubitare. «Dubbi e timori assediano l’esistenza di chi la sua vita non la vuole donare, di chi non si sente chiamato; quando c’è l’assillo di farsi un nome, anche nelle iniziative pastorali, nascono dubbi e timori». In certe situazioni della vita può essere molto difficile fare un discernimento da soli sulle scelte da compiere, pronunciare il “sì” di Maria accompagnandolo con il Magnificat.
Nella nostra cultura separiamo spesso la guarigione fisica dalla Salvezza: per molti la medicina si occupa del corpo, la religione della salvezza dell’anima. Questa separazione è da rigettare: entrambe suppongono una relazione di aiuto. Non si guarisce senza cure, anche la Salvezza si riceve e in questo caso il dono viene dall’Onnipotente che vuole la salvezza di ogni uomo. La guarigione è una possibilità, spesso una sorpresa, la salvezza è sempre offerta da Cristo a tutti, sia che guariscano dalla malattia, sia che non guariscano. Non sempre coloro che sono stati guariti da Gesù sono entrati nella Salvezza: dei dieci lebbrosi solo uno torna per ringraziare (Lc 17, 11-19). Per essere salvati occorre scegliere Gesù e desiderare di stare con lui. A questo proposito un’ultima perla dalle parole del nostro Vescovo: «Maria ci insegni a non dimenticare le note dell’Alleluia nei momenti della difficoltà e della tribolazione».

© Gazzetta di Foligno – Anna Rita Innocenzi

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