Forte se libero: un giornale dentro la città
Diversi sono stati i dibattiti che la Gazzetta ha aperto, anche grazie alle pagine on-line, con i cittadini. Alcuni sono stati molto partecipati. Ascolto e dialogo, critica e proposta hanno scandito queste colonne, pensate a servizio del bene della città. Un’attenzione particolare è stata data a quanti si trovano in condizioni di precarietà e agli interessi più deboli, sempre da tutelare, perché la democrazia è forte e viva se sa includere e dare rappresentanza a chi ne è privo. Il nostro atteggiamento battagliero non è stato mai polemico per partito preso, né fazioso. Piuttosto è stato il potere marmoreo con i suoi apparati e le sue diverse manifestazioni a suscitare le nostre critiche. Ne ricordiamo alcune: una città di forte immobilità sociale, un’aristocrazia del comando che decide e controlla i molteplici ambiti della vita pubblica, gruppi di potere che si mantengono garantendosi reciprocamente, una politica che arriva troppo spesso in affanno e tardivamente agli appuntamenti che decidono il futuro della città. Nel segnalare, da articolisti, storture e inefficienze, accanto alle cose buone che pure ci sono, abbiamo cercato di evitare strabismi di qualsivoglia colore politico e di non lesinare critiche alle stesse formazioni politiche che, da cittadini, condividiamo e sosteniamo anche pubblicamente. E questo per rimanere fedeli all’imperativo che ci eravamo dati tre anni fa nel primo editoriale: “se i redattori hanno amici in politica, il giornale no”.
È probabile che qualche nostro dibattito – sulla pagina scritta o on-line – abbia dato fastidio. Ma noi lasciamo ai lettori le valutazioni sui diversi punti di vista, perché l’obiettivo nostro non è decretare un vincitore e un perdente tra i diversi interlocutori, quanto piuttosto ragionare insieme per trovare una soluzione a problemi che suscitano gli interessi dei folignati. Dal nostro punto di vista, crediamo che sia un fatto positivo – per tutti – essere colti in fallo dal proprio interlocutore, senza nutrire risentimento; o quanto meno, aver maturato un dubbio su quanto si credeva all’inizio, perché altrimenti non ha senso discutere. Assumere l’ottica dell’errore per affrontare in modo costruttivo una discussione ci pare lo stile migliore. Oggi, questo non va molto di moda sul piano culturale e politico, talvolta nemmeno tra coloro che dicono di privilegiare il pensiero critico e divergente, ma poi di fatto – basta pestar loro un callo – snocciolano subito insospettate sicurezze e rivendicazioni forti di verità. Per noi l’ottica del contraddittorio è da preferire sempre alle sicumere e alle censure. Per questo soffriamo di orticaria nel sentire di tanto in tanto qualche “conte-zio” di manzoniana memoria – laico o chierico, qui poco cambia – che lamenta lo stile della Gazzetta “un po’ amico dei contrari…. che non ha tutta quella prudenza… tutti quei riguardi”. Qualche “conte-zio” che non trova però un “Padre molto reverendo” disposto a ritenere la pace dell’ordine, la generosità dei potenti e l’amicizia dei politici più importanti dello spirito del Vangelo. Ci piace una Chiesa libera. E una Gazzetta altrettanto libera.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI