Giovani tra scuola e lavoro
Ecco alcuni dati dell’ultimo Rapporto economico e sociale dell’AUR: l’Umbria invecchia e la natalità diminuisce più che altrove; i giovani sono sempre di meno, ma non trovano lavoro, nonostante i livelli d’istruzione siano tra i più alti d’Italia. L’occupazione giovanile è in forte calo nell’industria, nel manifatturiero e nel pubblico impiego, regge bene nel settore alberghiero e ristorazione. Cambia la domanda di lavoro: diminuiscono le posizioni intermedie, crescono quelle basse ricercate dai giovani immigrati, sono troppo poche quelle di più alto livello richieste dalle imprese locali. Aumentano gli avviamenti al lavoro di giovani stranieri, non degli umbri. I giovani immigrati, più motivati e attrezzati a cogliere le occasioni, sanno accettare e fare lavori di tipo manuale e artigianale – ed è soprattutto manuale il lavoro offerto -, che i nostri non sanno più fare o non se la sentono di iniziare, perché c’è una famiglia che comunque li aiuta. Ma ci sono anche fattori psicologici, educativi e scolastici che in questo momento non ci aiutano. Forse il tipo di scolarizzazione che da noi va per la maggiore – la licealizzazione, peraltro diluita nella qualità; il titolo di studio, a prescindere dalle richieste del mercato – può allontanare i giovani dal lavoro, proprio negli anni cruciali della loro formazione. Forse gli studenti si ammassano con l’immaginazione su lavori che non ci sono più, come quelli nella pubblica amministrazione; o percorrono le tappe della scuola e dell’università senza attrezzarsi al fatto che le aziende cercano persone capaci, anziché titoli di studio. La critica, beninteso, non è ai ragazzi e alle famiglie, ma al nostro sistema di scolarizzazione che, fermo da quasi un secolo al modello gentiliano – e non si dimentichi che Gentile ha avuto tanti allievi fedeli anche a sinistra -, ha finito col diventare antagonista al lavoro proprio in questi anni di grandi cambiamenti. Un solo esempio: la Germania è tuttora al mondo il Paese che esporta più manufatti ad alto tenore tecnologico, e possiede non a caso uno dei sistemi di formazione professionale più consolidato e articolato nel tempo. Come rivedere, allora, i rapporti tra scuola e mondo del lavoro? Cosa è possibile fare a livello locale, senza buttar via quello che c’è e tentare vie nuove da entrambi le parti? La maggiore scolarizzazione deve aprire le porte al lavoro, anziché ridurle. Occorre ripensare i modelli di istruzione e di formazione professionale al fine di fare incontrare le esigenze dei giovani con le richieste del mercato del lavoro. C’è da ripensare l’orientamento scolastico, che non può ridursi a propaganda tra istituti per il mantenimento degli organici. C’è da rivalutare, proprio in Umbria, l’apprendistato, anche quello di alta fascia. C’è da ridare importanza alla formazione tecnica, il cui diploma è stato sempre il più ricercato nel nostro territorio. C’è da trovare raccordi fra percorsi formativi e percorsi di lavoro per consentire una maggiore spendibilità delle competenze. E se a orientare gli studenti di 14 o 19 anni chiamassimo anche rappresentanti del lavoro e delle imprese? È una proposta.
C Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI