Silenzio e Parola
Il centro del Nuovo Testamento è la Parola scesa fra noi. Nel prologo al suo Vangelo Giovanni, non a caso, scrive: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv. 1, 14). La proposta più bella che abbia visitato la storia degli uomini, il Cristianesimo, è una proposta completamente centrata sulla Parola. Sembra quasi un paradosso di inattualità: come può la proposta della Parola essere contemporanea di un mondo carico di verbosità, ottuso dal chiasso, privo di parole, atterrito dal silenzio. Difficile che fra le cartapeste sociali dell’apparenza possano fiorire parole: senza il silenzio, scrive Benedetto XVI nel Messaggio per la XLVI giornata mondiale per le comunicazioni sociali, “non esistono parole dense di contenuto”. Il nostro è un mondo cui aggrada far mostra di potenza e di grandezza; non dovrebbero spiacergli le immagini di venti impetuosi e gagliardi “da spaccare i monti e spezzare le rocce” (cfr. 1Re 19, 11), la suggestione degli elementi naturali dalla cui potenza derivare metafore e traslati, allegorie da affidare magari agli schermi, a finzioni che assordiscono. Eppure sull’Oreb il Signore passa ma non è nel vento, non è nel terremoto e non è nel fuoco: il Signore sceglie “il mormorio di un vento leggero” (ivi, 12), sceglie la voce del silenzio. È lì che Elia lo conosce. Io sono certo che ci sia, anche storicamente parlando, una ragione fondamentale per la quale la proposta cristiana è sempre perenne: perché Gesù non ha tentato di spiegare il mondo. Le ideologie hanno voluto spiegare il mondo: e si sono dissolte. Hanno ignorato il silenzio concettualizzando il mondo e dimenticando sovente la centralità della persona, hanno avuto paura dell’attesa come condizione di libertà: hanno voluto chiarire, esplicare, decifrare e si sono vaporizzate sulle tante colline dei Crocifissi, sui luoghi di un silenzio di attesa ed abbandono. Come non pensare a quanto scrive Von Balthasar: “Al centro della nostra fede c’è la Parola abbandonata, il Logos crocifisso”. E Bruno Forte, chiosando il teologo svizzero, osserva: “Gesù è la parola che procede dal silenzio. Il che significa che Gesù non è un manifesto ideologico che spiega il mondo; Gesù è la parola fatta carne, che rinvia ad un abissale silenzio, il silenzio del Padre”. Se questa Parola si fa carne, può essere dunque accolta soltanto in un altro silenzio, quello dello Spirito, che a sua volta fa sì che la Parola dimori in noi. Imparare ad ascoltare ed educare all’ascolto appaiono – soprattutto in un momento storico come questo, in cui la verbosità usurpa tanto la parola quanto il silenzio – la dimensione irrinunciabile da recuperare come strumento di una nuova evangelizzazione. È necessario tornare al senso profondo dell’idea di comunicazione che, anche da un punto di vista etimologico, indica reciprocità e condivisione: se la comunicazione può essere intesa come il tratto unitivo della comunità, allora concepirla davvero come condivisione significa già re-intuire il senso antico e nuovo che, nella proposta cristiana, riveste il concetto di comunione eucaristica. Staccati da questo, gli altri significati della comunicazione restano chiacchiere.
© Gazzetta di Foligno – GUGLIELMO TINI