Notizie da Nairobi
Intervista a un religioso cattolico dopo i recenti attentati
Bruno Francis è un religioso appartenente alla fraternità dei Piccoli Fratelli del Vangelo. Tra il 2008 e il 2009 ha trascorso un anno nella nostra diocesi per un’esperienza di studio e comunione. Al momento si trova in Kenia, a Nairobi, dove sta completando gli studi, ma la sua comunità di riferimento è ad Arusha, Tanzania. Lo abbiamo contattato per avere notizie sui recenti attentati contro cristiani in quell’area.
Dalle notizie che giungono in Italia sembra che i conflitti religiosi, dopo aver infiammato il Nord Africa, si stiano estendendo anche all’Africa subequatoriale. È così?
Mi sembra che quello che succede nell’Africa orientale sia abbastanza diverso da quanto è accaduto altrove. Le ragioni delle tensioni non sono religiose, ma politiche ed economiche. Molte persone hanno attribuito l’attentato di domenica scorsa agli estremisti islamici, ma la matrice non è stata ancora accertata. Da quando nello scorso ottobre l’esercito keniota ha attraversato il confine somalo per combattere contro i miliziani, ci sono stati diversi attacchi in Kenya da parte dei gruppi di Al-shabaab. La maggioranza della popolazione somala è musulmana e questo fa sembrare “religioso” un conflitto che, invece, ha motivazioni politiche. Qualcosa di analogo sta accadendo anche tra il nord e il sud del Sudan dove il conflitto religioso maschera la lotta per il controllo dei giacimenti di petrolio.
Ci puoi dire qualcosa di più dell’attentato dei giorni scorsi? Conoscevi il luogo dove è avvenuto?
Domenica scorsa è stata lanciata una granata alla “God’s House of Miracles”, chiesa appartenente all’AIC, African Initiated Churches, (L’AIC è una chiesa cristiana indipendente che si richiama ad una istituzione indigena, non dipendente da contributi missionari, ndr). L’edificio si trova a Ngara, al centro di Nairobi, in una strada molto frequentata perché vi si trova un mercato degli abiti usati. L’avevo visitata per un incontro ecumenico il giorno prima della bomba. Come ho già detto, non mi sembra che l’attacco abbia una diretta motivazione religiosa…
Ma non ti sembra comunque che la religione sia sempre più spesso chiamata in causa nelle tensioni che ci sono nel continente africano?
Direi che le ragioni dei conflitti sono collegate una all’altra. La principale è il controllo politico delle risorse economiche. Certamente in alcuni paesi come la Nigeria e il Sudan la matrice religiosa appare più evidente, soprattutto quando prevalgono gli integralismi.
Percepisci in qualche modo una minaccia in conseguenza dell’essere un cristiano e un religioso?
Sono orgoglioso di essere cristiano e la sensazione di insicurezza che provo è comune a quella di tutte le persone, indipendentemente dall’appartenenza religiosa. Non è infatti possibile sapere in anticipo quando e dove esploderà la prossima bomba…
Hai vissuto a lungo in Italia, nella diocesi di Foligno. Quali sono le principali differenze nel vivere la propria fede in Italia e nel tuo paese?
In Kenya e in Tanzania le chiese sono piene di gente di diversa età. Le liturgie sono vive e partecipate, movimentate, dinamiche. In Italia e specialmente a Foligno in molte messe la maggior parte dei fedeli è costituita da gente anziana. Per me è stato in ogni caso un incoraggiamento vedere come queste persone abbiano custodito la fede nel tempo…
Ma anche se in Africa le chiese sono piene, mi chiedo a volte come il cristianesimo incida nella vita della gente. Nel 2007, dopo le elezioni politiche, in Kenia è iniziato un terribile spargimento di sangue sotto forma di conflitto tribale. Il genocidio del Rwanda nel 1994 avvenne in un paese al 95% cristiano cattolico. Se Gesù ci fa uno, perché dobbiamo combattere l’uno contro l’altro?
Sono grato di essere cristiano e dell’esperienza che Dio mi ha dato di vivere in Italia. Ho un ricordo di grande amicizia e generosità da parte della gente, e questo è uno dei frutti della fede.
© Gazzetta di Foligno – VILLELMO BARTOLINI