Risalire la china della rassegnazione
Primo maggio. Non possiamo rassegnarci al declino. Non possiamo arrenderci all’idea che il lavoro non c’è e sarà sempre più saltuario e incerto. C’è un’economia mondiale in affanno e c’è una politica europea più protesa al rigore che alla crescita – e questo ci fa dire, con il magistero sociale della Chiesa, che è giunto il momento di ripensare le regole dell’economia finanziaria globale, di ristabilire il primato della democrazia sull’economia e del lavoro sul capitale – . Ma c’è anche un’Italia furbetta, profondamente ingiusta e incapace di riforme. Da noi un giovane su tre non lavora e più di due milioni non studiano, né cercano un’occupazione; crescono i lavoratori in cassa integrazione o in mobilità, mentre negozianti e imprenditori si tolgono la vita per la disperazione di non farcela ad andare avanti. Intanto, però, ogni anno sono 300 i miliardi di euro che sfuggono al fisco e i dieci paperoni più ricchi intascano quanto i tre milioni di italiani più poveri. Mezza Italia dichiara meno di 15 mila euro e solo l’1,40 per cento degli italiani supera i 100.000 euro. Solo gli operai e gli impiegati si ritrovano ad essere “ricchi”, non per gli stipendi che ricevono ma per le tasse, che, a differenza di altre categorie, devono pagare e non possono evadere. È vero che la pressione delle tasse da noi è molto alta, ma l’evasione fiscale non può essere praticata come una legittima difesa. È urgente intervenire sul tema della fiscalità, ridisegnandone il sistema. È una domanda, questa, di equità e di giustizia, che sale dal paese nel mezzo di una crisi profonda: bisogna intervenire sull’evasione e sui grandi patrimoni, più sui redditi da capitale e sulle transazioni finanziarie che sul lavoro e il reddito da impresa. Il risanamento non può prescindere dallo sviluppo e il rigore non può colpire chi ha più bisogno di politiche sociali. Il ministro Passera ha calcolato in circa sei milioni l’area complessiva del disagio sociale, includendovi i disoccupati, i cassintegrati, i sottoccupati e i loro familiari. Una cifra enorme. Ed è del tutto evidente che, per aiutare i tanti che non hanno più possibilità di lavoro e di reddito, occorrono interventi straordinari, che al momento possiamo sperare solo dalla lotta all’evasione fiscale, agli sprechi pubblici e alle arretratezze della nostra economia. Ma c’è anche una crescente rabbia tra i cittadini, sempre più diffidenti verso la politica e delusi dai partiti, nessuno escluso. Anche da questo senso d’impotenza e di sfiducia bisogna rialzarsi. L’antipolitica non paga e ad essa occorre reagire, prendendo sul serio il disagio dei cittadini e rispondendo ai problemi del Paese, così a Roma come a Foligno. A Foligno i problemi non mancano; mancano le risposte della politica. La città si impoverisce e l’economia non riparte, rischiamo di perdere pezzi ad ogni tornante e i partiti stanno a guardare. Occorre risalire la china. Comincino, intanto, i consiglieri comunali a risalire le scale del palazzo comunale. La loro latitanza dal Consiglio non aiuta la città ad aprire una fase nuova e scoraggia i cittadini che vorrebbero condividerne problemi e obiettivi.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI