Le degenerazioni del potere in Umbria
Le classi politiche sono sempre sotto l’attenzione del pubblico e delle critiche. Ciò vale anche per il sistema politico regionale e la sua classe di governo, la cui stabilità di lunga durata non ha favorito cambiamenti politici né ricambi di ceti dirigenti. Al massimo, nei momenti di emergenza si è proceduto alla cooptazione di figure autorevoli, senza modificare retaggi culturali obsoleti e distorsioni nella gestione del potere. Si è finito così col dare adito a sospetti sul modello di buona amministrazione dell’Umbria, lasciando di stucco l’ampio elettorato fedele alla sinistra ex-comunista ed ex-democristiana su cui si basano gli attuali equilibri di potere. Meraviglia, sorpresa, incredulità, perfino rabbia. Non sappiamo chiamare altrimenti il disorientamento di questa parte di elettorato a seguito delle diverse indagini della Procura per presunto voto di scambio, peculato e abuso d’ufficio. Indagini che coinvolgono politici, amministratori, dirigenti, che magari conosciamo e stimiamo. Indagini da cui “è emerso – parola di investigatori – un quadro ben consolidato di gestione del potere finalizzata al clientelismo”. E fermiamoci qui. Non è escluso che tutto si chiuda con una storia di malcostume politico all’italiana e senza l’intervento del codice penale. Resta però lo sbigottimento nel sentirci dire sempre più spesso che “questo è il sistema di potere che abbiamo”: una sorta di amministrazione totale, che si mantiene scendendo a patti e concedendo favori dal sicuro ritorno politico. Vorremmo non crederci, ma da sanitopoli ad appaltopoli, dalla Giunta degli inquisiti (Brega, Barberini, Riommi, Goracci) al terremoto eugubino, i sospetti restano in piedi. Lo scandalismo non ci piace e alcune prospettive dobbiamo porcele, se si vuole portare la regione fuori dal declino, come auspicato dalla stessa governatrice Marini a commento dell’ultimo rapporto Aur sull’Umbria. L’Umbria non è l’isola felice e non è immune dai mali del Paese, neppure dalla crescente sfiducia verso la politica e dal poco coraggio dei partiti per le sfide che il futuro impone. Tuttavia il momento di incertezza e di crisi può diventare anche in Umbria rottura e novità. Occorre una classe politica che non sia cooptata dall’alto e che non lasci ai cittadini solo la ratifica di liste decise dal vertice. Ci vuole una nuova cultura politica che permetta alla società civile di riappropriarsi del suo ruolo politico originario, anziché delegarlo totalmente ai partiti e alle loro aristocrazie del comando. Serve, soprattutto in Umbria, la partecipazione sussidiaria, dove l’intervento pubblico sappia restituire la responsabilità e l’autonomia di azione alle molteplici formazioni sociali. C’è da fugare l’immagine di un potere monocolore che in Umbria conserva un sistema chiuso, irraggiungibile dai più e soprattutto dai giovani, proteso a tutelare interessi consolidati e rendite di posizione. L’Umbria, più che con una popolazione anziana, ha da misurarsi con quel senso di vecchiezza, di conservatorismo e di supponenza che divengono terreno di coltura per le degenerazioni del potere sulle quali investiga ora la Magistratura.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI