Il vescovo Gualtiero Sigismondi, qui durante la Catechesi di Avvento.

“Andiamo fino a Betlemme”

Il vescovo Gualtiero Sigismondi durante la Catechesi di Avvento, foto Tommaso Innocenzi

Avvolti dalla luce nel silenzio della Notte santa e destati dal canto degli angeli, i pastori ricevono il lieto annuncio della nascita del Salvatore. Vinto il timore iniziale, si recano a Betlemme senza indugio, per vedere l’avvenimento che il Signore ha fatto conoscere loro (cf. Lc 2,15).
Senza indugio
: questa espressione apre e chiude il Vangelo di Luca, che scorge nei pastori le “avanguardie” dei discepoli di Emmaus. Difatti, come i pastori vanno a Betlemme senza indugio (cf. Lc 2,16), ascoltando con l’orecchio del cuore l’eco del Gloria in excelsis Deo, così i discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore “nello spezzare del Pane”, senza indugio tornano a Gerusalemme (cf. Lc 24,33), cercando la nota dell’Alleluia pasquale. Con ardente desiderio i pastori arrivano fino a Betlemme e, dopo aver visto il Bambino – soltanto dopo! – riferiscono ciò che di Lui è stato detto loro. Con gioiosa agilità i discepoli di Emmaus salgono a Gerusalemme dagli Undici e, dopo aver ascoltato l’Annuncio pasquale – solamente dopo! – narrano ciò che è accaduto lungo la via. Tanto i pastori di Betlemme quanto i discepoli di Emmaus indugiano solo nel parlare, non nel mettersi in cammino: il silenzio accompagna i loro passi!
Senza indugio
: è un’espressione che è sinonimo di agilità, come quella che ha spinto Maria ad andare “in fretta” verso la regione montuosa, per portare a Elisabetta il dono sublime dell’esultanza nell’umiltà del servizio (cf. Lc 1,39). Senza indugio: è un’espressione che è sinonimo di sollecitudine, come quella che ha mosso Zaccheo a scendere “in fretta” dal sicomoro per accogliere il Signore in casa sua “pieno di gioia” (cf. Lc 19,6).
Sostando davanti al presepio posiamo lo sguardo sui pastori, i quali hanno avuto l’audacia di andare a Betlemme senza indugio e la gioia grande di vedere “Maria e Giuseppe e il Bambino, adagiato nella mangiatoia” (Lc 2,16). Essi ci insegnano a osare, a non lasciarci vincere dalla pigrizia della pavidità, che è alleata della tristezza e complice della rassegnazione. Pavidità, tristezza e rassegnazione, combinate assieme, formano una miscela esplosiva: la noia. Il passaggio dalla noia alla nausea di mettersi in cammino è breve, anche dentro la comunità ecclesiale, che per vocazione è chiamata a percorrere la storia del mondo per aprirla al mistero di Dio.
“Andiamo fino a Betlemme”: questo è l’augurio natalizio che faccio alla nostra Chiesa particolare, impegnata a porre il baricentro sull’esperienza di un rapporto – quotidianamente rinnovato – con Gesù e con i fratelli. Se si perde la consapevolezza di questo punto originario, l’azione ecclesiale rischia di ridursi a erogare servizi. “La Chiesa è una grande famiglia, non un’azienda”: il non esserne sempre coscienti genera un “fare” carico di generosità, ma spesso frammentato. L’identità cristiana non risiede in “grandi eventi”, creati a ripetizione, quasi si vivesse con fatica l’ordinarietà e il quotidiano della fede. Nella presa di coscienza della “pregnanza della sobrietà” – splendida icona natalizia! – sta il movente dal quale ripartire. Senza indugio!

+ Gualtiero Sigismondi

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