Catechesi “Made in China”
Tutti facciamo un salto “dai cinesi”, e non solo perché vi troviamo prodotti bizzarri, simpatici e qualche volta innovativi, ma soprattutto perché sono economici. Hanno lo stesso design, producono lo stesso effetto e costano molto meno. Tutti sappiamo perché possano tenere dei prezzi così bassi: basso costo della manodopera, ritmi aziendali serrati, poche tasse, niente diritti dei lavoratori, pochi orpelli sindacali, costo delle materie prime ridotto, tenore di vita minimo, ecc… Risultato: merce in grande quantità ad un prezzo estremamente competitivo e allettante. Questo è tanto evidente che l’est-asiatico sta diventando non solo un mercato da conquistare, ma soprattutto un mondo dove andare a produrre, un sistema dove trasferire le nostre aziende con le sue produzioni. Questa mentalità è tanto vera e tanto forte che ha contagiato anche il “mercato della catechesi”. Dai corsi prematrimoniali alla catechesi pre-battesimale, al parroco e ai catechisti si pongono le stesse domande della commessa: “Quanto tempo? Quanti incontri? Quanto dura? Non mi potrebbe fare uno sconto? Non mi potrebbe venire incontro? Non mi può togliere qualcosa? Lo sconto? Rateizziamo? 3×2?” E così come si fa il giro delle vetrine e si finisce “dai cinesi”, si gira per le parrocchie e ci si inserisce dove “costa” meno o dove si trovano i “prodotti spirituali” più bizzarri, simpatici e qualche volta innovativi. Del resto i sacramenti sono gli stessi e la gente onestamente cerca la via più economica per ottenerli. Questa situazione pone ai parroci, ai consigli pastorali e ai catechisti molti interrogativi, tanti quanti se ne potrebbe dare un consiglio di amministrazione di una azienda seria: “Ci trasferiamo in Cina? Produciamo merce più competitiva, più economica? Cambiamo prodotti? Riduciamo il personale? Puntiamo sulla qualità? Investiamo sulla ricerca? Aumentiamo la pubblicità? Andiamo alla ricerca di nuova clientela? Troppi costi, chiudiamo?”. Di sicuro la situazione attuale della catechesi è una grande provocazione, perché l’evangelizzazione “made in Italy” di fatto non funziona e non vende, o si riduce a sempre più piccole comunità di “facoltosi” che si possono permettere prodotti “high-quality”. I “bilanci sacramentali” per ora darebbero ragione alla “mentalità cinese” perché in una società dove la domanda di fede cristiana è molto bassa e l’offerta del religioso (teosofie, magia, new age, sincretismo, devozioni, tradizioni…) molto diffusa si dovrebbe offrire un prezzo “pastorale” basso, accessibile a tutti. Ora però quando faremo i conti alle porte del paradiso, che faccia farà S. Pietro quando troverà sulla nostra anima l’etichetta con la scritta “made in China”?
© Gazzetta di Foligno – GIOVANNI ZAMPA