Una storia semplice e bella: conversazione con Cristiano Antonietti
Sopra la Cattedrale qualche strappo di nuvole si sfrangia nell’azzurro deciso del cielo. Amo queste giornate che, dopo la monarchia del sole tiranno, soffiano un’aria fresca sull’estate che lentamente va via. Cristiano mi apre le porte del suo studio, vasto ed ordinato. Mi soffermo sui libri; con Cristiano ne sfogliamo qualcuno. Indugio sulle fotografie; Cristiano mi racconta quegli istanti di tempo con dovizia di particolari. Non omette i luoghi; non prescinde dalle persone. Ha lo sguardo pulito, Cristiano, e comunica serenità, come questo cielo così tranquillo, così in pace.
Sai che avrei potuto chiamarmi Palmizio oppure Pasquale?
Fra i due, con rispetto parlando…
L’idea era stata del cappellano dell’Ospedale: devi sapere che sono nato la Domenica delle Palme del 1986.
D’accordo, però onestamente – detto fra noi – bene ha fatto la tua mamma: fra Palmizio e Pasquale è nato Cristiano…
Che poi non è un nome così frequente. Per dire: né negli anni della scuola, né poi in quelli del seminario ho incontrato ragazzi che si chiamassero come me. Devo il mio nome a mia madre. Mamma mi ha raccontato di aver avuto una gravidanza difficile e così, nel travaglio, promise al Signore, davanti al Crocifisso, che se tutto fosse andato bene mi avrebbe dedicato a Lui.
(Quando Cristiano parla della mamma – ed è successo spesso in questa nostra conversazione – vedo gli occhi brillare di quell’amore che il cuore non riesce a contenere; la sua voce – di ragazzo buono e deciso, mite e risoluto – conosce la spezzatura dell’emozione, come onda di mare che s’increspa)
Nel tuo nome hai la tua storia e la tua vocazione.
Una storia semplice e bella, nella quale ho visto e vedo compiersi le meraviglie del Signore. Non passa giorno in cui non ringrazi Dio per il dono della vita, di cui sono immensamente grato ai miei genitori: mamma Patrizia e papà Simone. Un dono impreziosito da subito, mirabilmente, con la grazia della vocazione.
Qual è la cosa più bella che pensi tua madre ti abbia insegnato …
Due sono le cose. Primo: ad amare sempre e comunque. Secondo: a vedere il bene ed il male e a scegliere di conseguenza. Con grande libertà. Insegnamenti di cui le sarò sempre grato.
Grande gioia allora per lei quando sei entrato in Seminario!
Una tragedia.
Una che?
Mamma rimase davvero molto male. La prese come una sconfitta: una cosa di cui vergognarsi. Ciò che per lei era buttar via la vita, per me era guadagnarla.
Costa cara la libertà di chi amiamo!
Ma lasciar partire i figli è un atto d’amore. Certo, all’inizio non fu semplice. Del resto vivevamo insieme – io e lei – e mamma aveva su di me progetti ed aspettative, come tutti i genitori. Lasciarmi andare non è stato facile, ma abbandonarsi nelle mani di Dio vuol dire anche avere la certezza che quelle mani sanno operare meraviglie.
E ora tua mamma come ti vede?
Sacerdote! Quando se ne parla dice di riconoscere in me, prossimo all’Ordinazione, la Grazia di Dio e mostra grandissimo rispetto – quasi venerazione – non tanto e non solo verso di me, quanto verso la figura del presbitero e del ministero a cui è chiamato.
Eri a Petrignano, in quel periodo, se non sbaglio.
E quindi non ero lontano. Stavo presso don Luciano Avenati, un liturgista che ha avuto su di me un influsso importante, perché mi ha insegnato a vivere il ministero partendo dalla liturgia. Formarmi con lui è stato fondamentale. Idealizzavo, forse troppo, la figura del prete pensando solo ad alcuni aspetti senza mettere in conto i momenti bui di un sacerdote, gli insuccessi, la solitudine, gli istanti dell’amarezza. Compresi bene in quegli anni ciò che fino ad allora avevo solo intuito: prima di essere Sacerdote era necessario essere Uomo… maturo e capace di relazioni, poi un bravo cristiano e solo se era volontà di Dio sacerdote. Poi da Petrignano sono stato mandato al Seminario Romano.
Un bel salto, direi, da Petrignano a Roma…
Ed altra bella botta per la mamma, che così poteva vedermi assai più raramente. Sai chi ha voluto che studiassi a Roma? Don Giuseppe Bertini. Allora, te lo confesso, non capivo. Ora so che aveva ragione lui; don Giuseppe è stato con me come Gesù con Natanaele: “Come mi conosci?”; “[…]Ti ho visto quando eri sotto il fico” (Gv. 1, 48, n.d.r.).
Non credi anche tu che una delle qualità precipue di don Giuseppe sia quella di saper dare fiducia?
Verissimo: ha sempre – ribadisco sempre – saputo darmi fiducia. Posso dire di condividere con lui un bel rapporto di amicizia. In tutti questi anni mi ha seguito costantemente tenendomi presente per fare tante cose, sempre con occhio lungimirante. Si è donato alla Chiesa e ha messo il bene della Chiesa innanzi a tutto. Ha dovuto dire dei no e spesso chi deve dire dei no soffre, ma nonostante le difficoltà non ho mai visto don Giuseppe abbattuto.
Ti ha accompagnato lui al Seminario del Papa?
Lui e il vescovo Arduino. Non ti sto a raccontare l’impatto con quella struttura gigantesca! Il giorno successivo al colloquio tornai da don Giuseppe dicendogli che quel luogo non faceva per me: troppo grande, troppo sontuoso, insomma, troppo tutto. Ricordo don Giuseppe che mi lasciò parlare e poi, con sapienza e semplicità, mi rispose: “Non c’è problema. Vai e se non ti trovi bene mi chiami: si ricomincia in altro modo”. Che senso di libertà favorirono in me quelle parole!
Tanto che sei di nuovo sul piede di partenza. O sbaglio?
“Mi abbandono alla fedeltà di Dio” (Sal 52) e all’obbedienza nei confronti del vescovo Gualtiero. Vedi, lo scorso luglio ho terminato i miei cinque anni di studio – due filosofici e tre di teologia – ed ho chiesto subito al Vescovo di poter tornare in diocesi per svolgere il mio ministero. Amo questa Chiesa e sento il suo amore. Il Vescovo desidera che io prosegua gli studi specialistici di diritto canonico comparato al diritto civile: ritiene che la nostra diocesi abbia bisogno di questo, perché tra i sacerdoti non c’è nessuno in possesso di tale titolo. Pertanto, dopo l’ordinazione, tornerò a Roma dove sarò alunno del Seminario Lombardo.
Anche questo, a ben guardare, è un servizio alla tua diocesi…
È proprio con questo spirito che dico: vado. Io non avrei continuato a studiare, l’ho detto anche al Vescovo: amo la Parrocchia, l’annuncio del Vangelo, la vita quotidiana tra la mia gente.
Una volta mi hai detto che il sacerdote deve saper dare ragione della propria fede…
Lo ribadisco. Me ne convinco in misura maggiore quanto più vivo a contatto con la gente e ne sento le esigenze. Quest’anno ho vissuto per Grazia di Dio un anno davvero pieno, di autentica formazione. Penso all’esperienza vissuta accanto al vescovo Gualtiero, all’impegno della segreteria della Visita Pastorale, all’Ufficio Liturgico, alla preparazione dei Battesimi e all’Oratorio in Parrocchia, alla visita agli anziani e ai malati. Ma soprattutto penso all’esperienza splendida vissuta come insegnante a scuola. Mi sono reso conto che i ragazzi (e non solo) hanno bisogno di incontrare persone formate e consapevoli del grande Dono ricevuto.
L’impatto con i ragazzi non lascia mai indifferenti, vero?
Pensavo di conoscerli: la mia età vicina alla loro, a Roma la pastorale giovanile, a Foligno le tante attività parrocchiali e diocesane legate ai ragazzi. Ma i giovani che abbiamo nelle nostre comunità non rappresentano la realtà odierna; ne sono una parte. Nelle parrocchie abbiamo – prendi il termine per buono! – una scrematura: chi c’è, nonostante tutte le perplessità, sta già dando un indirizzo preciso alla sua vita, ricercando i valori cristiani. A scuola ho incontrato davvero i giovani: e sono stato accolto benissimo. Ti assicuro di aver trovato ragazzi di grande semplicità di cuore e di bontà. Ho ancora i quaderni di alcuni di loro e li custodisco come una reliquia tra gli oggetti più preziosi.
Riuscivi a farli lavorare in Religione ?!
Abbiamo davvero studiato tanto, abbiamo fatto cultura insieme, cercando di ritradurre la fede, la speranza e la carità. Abbiamo lavorato sui fondamenti della Religione ponendoci in ascolto gli uni degli altri: domande e tentativi di risposta, senza mai dare nulla per scontato. E mi hanno sbalordito per il loro interesse! Io ho detto soltanto: “Sono qui per donarmi a voi”. In quest’anno mi sono radicato nell’idea che se tu dai – e dai seriamente – la risposta non può che arrivare. Ed essi mi hanno ridato tantissimo!
Sai cosa mi pare di notare, Cristiano, nella mia esperienza con i giovani? Che siano spesso tristi e non certo per causa loro.
Penso che i ragazzi di oggi siano annoiati, spesso tristi e questo perché sazi di tutto ciò che non serve e di messaggi svilenti e privi di valori. Quanta fatica a parlare ai giovani di sogni, progetti, speranza! Quanta fatica a tradurre l’idea che guadagnarsi qualcosa con fatica e sacrificio può essere mille volte più realizzante e liberante che raggiungerlo con i sotterfugi o la meschinità! Quanta fatica a distinguere il piacere dalla Gioia! Questo per tante ragioni: i ragazzi non si sentono compresi, le famiglie si sfaldano, mancano punti di riferimento: valori su cui non discutere, parole chiare e ferme, e il nostro linguaggio spesso è troppo lontano da loro, a volte solo moralista. Capita di parlarci addosso e di non sfiorarli.
È un mondo che permette tutto e che dunque non distingue più niente.
Non si può giocare a nascondino con le persone; non ho mai creduto al venir meno della distinzione dei ruoli, anzi da questo punto di vista ritengo di essere molto rigoroso. Solo così, cioè essendo autenticamente persona, in grado di intessere relazioni mature e liberanti, l’adulto diventa anche autorevole e, soprattutto, autenticamente testimone. Per me il problema è che si vogliono fare i conti in tasca a Dio: e allora tutto va a rotoli. Mi commuove pensare a tutte le volte che ho provato a fare calcoli da solo e tutto è andato a carte quarantotto e a quando invece mi sono abbandonato alla volontà del Signore ed Egli mi ha stupito ben oltre le mie capacità. Primo, dunque, fidarsi di Dio senza se e senza ma, secondo essere testimoni.
Testimonianza come fondamento di vita spirituale?
Oggi rincorriamo la società cercando di fornire nelle nostre parrocchie tutti i servizi, anche a livello di operatori sociali: troppo. Io ritengo invece che vada recuperata la dimensione spirituale del nostro ministero. Ancora oggi per me, ad esempio, scoprire il sacerdote in preghiera rafforza la fede.
Mi stai dicendo che non ti troverò più all’oratorio quando accompagnerò i bambini?
(Cristiano sorride. Vi sono, nello studio, alcune foto che lo ritraggono e noto in ognuna lo stesso sorriso sincero e sereno). Mi chiedo: è giusto che un prete segua dalle 8 alle 13 i bambini all’oratorio per tre o quattro settimane di fila? Continuerò ad essere presente, sicuramente alla preghiera, mi preoccuperò di formare e di incontrare con più assiduità gli educatori e gli animatori, ma dobbiamo aver coraggio di mettere da parte l’idea del prete tuttofare e affidarci ai laici. Ce ne sono tanti: generosi e competenti.
Tu credi che i giovani pensino al sacerdozio?
Ne sono sicuro!
E allora?
Manca la testimonianza forse, ma sul fatto che essi siano interrogati da Dio non vi è dubbio, come non vi è dubbio che abbiano una grande sete di Dio. Mi domando spesso se un giovane, guardandomi, possa pensare a tutta la bellezza del sacerdozio e a quanto sia pieno il mio cuore. E non nascondo che tutte le volte che ciò non traspare chiedo perdono al Signore.
A scuola più d’uno mi ha confidato che, almeno da piccolo, ha pensato di farsi prete. Sono ragazzi che si pongono domande fondamentali e a noi tocca testimoniare che Dio non toglie nulla, ma che gratuitamente dona. Di fronte alla grande sete che l’uomo ha di Dio, noi dobbiamo interrogarci con serietà e severità sul ruolo che il sacerdote deve avere.
Parliamo della tua vocazione.
Il Signore mi ha voluto bene. Una volta – ero ancora bambino – incontrai il mio parroco di allora, fr. Paolo Maria, dei Piccoli Fratelli e gli chiesi: “Ma tu chi sei?”. E lui sorridendo: “Il parroco”. “E che fai?”. “La benedizione delle famiglie”. Tieni presente che a quel tempo i testimoni di Geova frequentavano la mia famiglia e alcuni di loro abitavano nel mio stesso palazzo. Paolo Maria mi invitò a Messa, io andai e rimasi estasiato.
Forse Paolo Maria aveva già letto qualcosa in te, da intermediario della Provvidenza.
La vera scoperta fu per me verso i dieci anni: sentendo le campane della Messa feriale, scoprii che la celebrazione c’era tutti i giorni! Da allora, tutti i giorni, cominciai ad andare a Messa. Cosa che, naturalmente, non sfuggì a Paolo Maria il quale mi chiese: “Ma tu vorresti fare la Prima Comunione?”. “Sì” risposi io. “Bisogna anzitutto dirlo alla mamma”, mi suggerì.
E lei?
Sul momento nulla, nel senso che non le dissi niente. Il giorno dopo riferii al parroco che mamma era d’accordo – raccontai la mia prima bugia! – e così, con Paolo Maria, cominciai un cammino di preparazione verso il Sacramento.
Poi però immagino che qualcosa alla mamma avrai dovuto dire…
Le dissi la verità una settimana prima e lei mi diede uno schiaffo. Bada bene: non perché facessi la Prima Comunione (come forse puoi pensare avendoti parlato dei testimoni di Geova), ma perché lei indipendentemente da tutto avrebbe voluto fare per me una festa, che a quel punto non si poteva praticamente organizzare più. Fu una Prima Comunione indimenticabile per la sua semplicità e la sua bellezza. E lì cominciai a pensare che forse avrei potuto dedicare la mia vita a qualcosa di grande, forse avrei potuto addirittura fare il prete. E ringrazio Dio per avermi messo accanto figure di riferimento importanti: ho parlato prima di don Giuseppe, di don Luciano Avenati, ma non voglio dimenticare, don Paolo Onori, che mi ha amato davvero come un figlio e il Vescovo Gualtiero che si è preso cura della mia formazione e che continuerà a brillare in maniera chiara come l’esempio di un sacerdote che ama con gioia il Signore e la Sua Chiesa!
Sponsabo te in fide…
Chiedo al Signore la fedeltà. Sacerdote per sempre, fino all’ultimo respiro, innamorato come lo sono oggi. Con la stessa consapevolezza che pervade e riempie il mio cuore e cioè che il Signore sta realizzando in me qualcosa di straordinariamente grande il cui sol pensiero mi fa tremare le viscere. Sarò prete per questa Chiesa che mi ha generato nella fede e che, nell’Amore, mi sta crescendo!
(Noto una fotografia che ritrae Cristiano nel suo primo incontro con Benedetto XVI. “Non ti ho amato per scherzo”, ha ricordato il Pontefice al folignate Cristiano. Quanto ancora è fecondo lo spirito di Angela! “Non ti ho amato per scherzo”).
© Gazzetta di Foligno – GUGLIELMO TINI