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Giovani e no. Il problema della formazione nel nostro territorio

Intervista con Don Franco Valeriani,sacerdote, testimone, fondatore della comunità La Tenda

Come vive la sua esperienza di sacerdote da parroco e da operatore di una comunità?
Essere parroco comporta il dover gestire situazioni di difficoltà legate alla poca partecipazione e alla diffidenza che è sempre più subentrata nella gente, forse anche a causa degli scandali che ci sono stati; mentre vivere in una comunità consente un percorso continuo e definito dove l’impegno con i giovani affidati ti fa sentire il calore dell’urgenza e lo slancio necessario per risolvere le necessità.

Rispetto al grosso problema della dipendenza, sia droga che alcool, oggi l’informazione è molto vasta, ma quali sono le notizie che più possono interessare?
Il problema delle dipendenze si colloca in un momento difficile, non tanto per i giovani, ma per la famiglia: è latitante tutta la generazione di mezza età, 35-40 anni. La famiglia è anche abbandonata a se stessa con problemi di lavoro, con problemi di formazione che non c’è praticamente più, parlo dei giovani che non vengono più formati alla famiglia. C’è poi una società permissiva al cento per cento, permissiva non perché permette o non permette, ma perché spiega tutto, perché è tutto normale quello che avviene, allora c’è una scelta e un modo di aggregarsi senza un perché, senza un obiettivo. Questo modo di ragionare è diventato comune anche nei piccoli paesi.

Che cosa è necessario fare per superare la mancanza della formazione educativa della famiglia?
Tutti gli sforzi debbono essere rivolti alla formazione ed alla famiglia. È necessario che i punti d’aggregazione per i giovani siano guidati da persone formate e adulte, perché, se gli operatori sono troppo giovani, quest’aggregazione può essere pericolosa. Noi abbiamo l’esperienza di piccoli gruppi dove persone adulte offrono formazione come l’esperienza della Tenda; i grandi raduni non risolvono il problema dell’ansia, della speranza dei giovani, perché sono manifestazioni che non toccano nella sostanza l’animo della persona.

Nella vostra comunità quanti operatori avete?
Quarantadue operatori fissi regolarmente retribuiti, impegnati in più attività: la comunità classica rivolta al recupero della tossicodipendenza, accompagnamento al lavoro, persone che vengono seguite in casa, accoglienza delle ragazze madri, comunità per persone sieropositive.
Le attività e le esperienze che abbiamo fatto sono state e sono ancora oggi tante, sono state molto spesso all’avanguardia e sono ancora in evoluzione, vista la tipologia delle persone accolte.

Quale criterio avete seguito nelle scelte fatte?
Abbiamo cercato di seguire le necessità e le esigenze delle persone che abbiamo incontrato e incontriamo, di rispondere cioè ai bisogni degli ultimi. Il nostro motto è stato sempre questo: essere accanto agli ultimi, gli ultimi degli ultimi; adesso è difficile, nella nostra società, capire chi è l’ultimo.

Il numero delle persone incontrate è cresciuto con il tempo o è rimasto costante negli anni?
Sono aumentati ma con una diversificazione d’esigenze e di richieste, come ho detto prima abbiamo iniziato con la comunità di recupero per allargare poi le attività alle nuove necessità emerse.

In tutto questo arco di tempo, circa 40 anni, qual è stata la più grande preoccupazione che ha dovuto affrontare?
Di preoccupazioni non ne ho avute per le cose da fare; ho sempre pensato che si poteva fare tutto non solo da un punto di vista organizzativo e materiale. Il difficile era ed è avere davanti persone per le quali non poter far niente, e avere dentro la necessità di dover individuare la strada giusta per affrontare il problema. Quando poi c’erano persone in comunità che facevano resistenza ad accogliere le regole, i suggerimenti, le linee di condotta, allora bisognava mandarle via, questo era il momento più pesante (poi magari le andavo a riprendere).

Si sente sempre dire che l’Umbria ha il triste primato per l’elevato numero di tossicodipendenti, da che dipende? Da una cultura, da una collocazione geografica o da che cosa?
Ci sono due ragioni fondamentali oltre a quelle generali (la frantumazione delle famiglie, una società tutta orientata all’apparenza…): la presenza dell’Università per stranieri favorisce la formazione di grosse comunità di stranieri che sono costretti ad arrangiarsi quindi anche a vendere droga; poi in Umbria c’è una concentrazione di varie comunità terapeutiche con un elevato numero di tossicodipendenti, molto spesso i ragazzi che escono dalle comunità rimangono in Umbria e contribuiscono così ad aumentare il numero. Queste comunità non risolvono più il problema, perché la comunità può essere valida se la persona che vi entra è del posto, in quanto può essere seguita nel momento in cui esce.

Cosa ci dice dell’esperienza “Stella del Mattino” di Spello?
Dalla comunità La Tenda è nata l’esperienza “Stella del Mattino”, voluta dalla Diocesi, nata con un accordo con il Vescovo Arduino, per l’accoglienza delle persone sieropositive; oggi però vengono anche accolte persone senza punti di riferimento, ma con gravi patologie. È gestita, a Spello, da una équipe formata da tutti volontari che ruotano nei vari servizi, è un gruppo molto affiatato che riesce a vivere momenti insieme per discutere e cercare soluzioni ai problemi e, nello stesso tempo, condividere tempi di gioia e di convivialità. Questo contribuisce ad aiutare le persone ad accettare le loro difficoltà con più speranza.

I Servizi della ASL non intervengono?
Sì, per l’aspetto sanitario, c’è una buona collaborazione e disponibilità, ci si conosce tutti e si lavora in sintonia.

Si è sentito parlare di progetti internazionali, che cosa ci può dire?
Spello è la base per i progetti internazionali che ormai da molti anni, dal 1996, vengono portati avanti. In questo periodo sono stati seguiti progetti in Sierra Leone, nel Chiapas, in Messico, in Nicaragua, in Guatemala, in India soprattutto nel campo della sanità: ospedali, case di accoglienza per bambini, chiese-scuole-ambulatori, adozioni a distanza. La caratteristica dell’iniziativa è la nostra partecipazione fisica alla realizzazione di queste realtà per un controllo diretto delle somme che portiamo e rendere così conto alle persone che hanno offerto contributi.

Ci sono in programma nuove iniziative?
Certamente, sempre legate alle necessità che emergono, come una casa di accoglienza per ragazze madri che possono tenere con sé i propri bambini ed essere nello stesso tempo seguite. Questa casa è già funzionante sempre a Spello, e offre un ambiente molto sensibile, anche se inizialmente, come per tutte le esperienze, c’è stata un po’ di resistenza verso tutto ciò che è nuovo e poco controllabile.
Ci sono in cantiere altre iniziative sempre per incontrare coloro che non hanno più riferimenti nella loro vita.

Chiude il nostro incontro un sentito ringraziamento che don Franco rivolge al Signore per avergli dato la forza e la possibilità di fare quello che a lui veramente piace.

© Gazzetta di Foligno – NICOLINA RICCI

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