FOLIGNATI NEL MONDO: Intervista a Marco Stancati (Tunisia)
Caro Marco, la Gazzetta apre questa nuova rubrica proprio con te che stai a lavorare e a vivere in Tunisia, un Paese a noi vicino e importante per i recenti eventi politici che stanno animando tutto il mondo nordafricano e arabo. Dunque, come sei finito in Tunisia?
Dopo avere vissuto fino alla fine del Liceo Classico a Foligno (1982), frequentata Perugia per la Laurea in Economia e Commercio, vicende familiari mi hanno portato a Gubbio dove ho vissuto per 15 anni, tappa importante della mia vita che mi ha permesso di lavorare e di formarmi alla Colacem. Poi, in seguito alla privatizzazione di una cementeria in Tunisia, a partire dal 2003 mi è stato proposto di trasferirmi a Tunisi.
Come ti sei trovato?
Una Nazione del tutto sconosciuta mi ha subito sorpreso per il galoppante sviluppo e per la netta differenza da un’Europa sempre più in rallentamento. Ho svolto il ruolo di Direttore Generale nella cementeria curando il settore amministrativo, personale e pubbliche relazioni. Richiamato a Gubbio, ho dato le mie dimissioni per non perdere il bagaglio di esperienze acquisite.
Parlaci allora del lavoro che svolgi.
Ho accettato l’offerta di un amico a dirigere la SAFAS TUNIS, anche essa acquisita con una privatizzazione. La SAFAS, casa madre italiana, è una fonderia di acciaio di altissimo livello tecnico e tecnologico e leader a livello mondiale per le fusioni utilizzate in ambito nucleare.
Sei soddisfatto?
Certamente! In questi anni ho scoperto un mondo nuovo, accogliente, più evoluto di quanto si immagini e sicuramente interessante per comprendere una civiltà molto vicina geograficamente e storicamente alla nostra ma anche molto diversa. Ritengo un prezioso investimento cercare di capire sempre più e riuscire a convivere con una parte della popolazione maghrebina che, volenti o nolenti, si sta inserendo in Italia a ritmi velocissimi.
Ma questa popolazione come vede il nostro paese ?
Da parte dei popoli nordafricani l’Italia è considerata una vera meta e gli italiani sono gli stranieri più graditi: per il loro modo di fare spontaneo e poco formale, se da una parte si rischia di perdere sotto il profilo professionale, dall’altra si guadagna enormemente sotto quello umano che, con il tempo, risulta più importante.
E tu come vedi ora l’Italia?
La sto vedendo con occhi diversi, forse con un po’ di distacco. La vedo come un grande palcoscenico nel quale si rappresenta una farsa politica che dà un’immagine poco qualificante di un paese che tutti ammirano. Aspetto negativo comune all’Italia e alla comunità italiana residente in Tunisia, è l’individualismo e la scarsa collaborazione che emerge solo nei casi di estrema necessità. Aspetto negativo che ritrovo anche nelle realtà umbre che hanno visto il formarsi di una miriade di piccole imprese in concorrenza per anni e che non hanno mai pensato di unirsi per fronteggiare la crisi.
Sono molte le aziende italiane che investono in Tunisia?
Circa 700 e la quasi totalità nel settore manifatturiero (calzature e confezioni). Ci sono poche realtà di industria strutturata.
Ci troviamo nel mezzo di un momento storico difficilissimo per tutto il mondo arabo che ha iniziato proprio dalla Tunisia il processo di democratizzazione. Come giudichi la situazione politica attuale?
Posso solo esprimere una convinzione personale al di là di una speranza per tutti: penso che la “primavera araba” non sia sbocciata completamente in maniera spontanea. Sono sereno: la rivoluzione tunisina non può fallire; la prima, la più rapida, la meno cruenta, la più indolore e soprattutto la più facile da gestire. Il principale ostacolo può essere la precarietà di principi democratici che i vecchi governanti hanno contribuito a non formare, presentando esempi di strapotere ed ostentazione che hanno impresso negli animi dei giovani un solo credo: l’apparire ed il possedere. Riguardo alla situazione politica, si sta creando un blocco antitetico ad un partito conosciuto ed islamico il cui leader era stato allontanato 20 anni fa.
E della Libia e di Gheddafi, cosa puoi dirci?
Confermo l’ipotesi della non spontaneità degli eventi. Si sono dovuti creare i presupposti, per un’azione militare, che non esistevano. La Libia non è la Tunisia e su circa 5 milioni di persone quasi 1,5 sono – erano! – stranieri lavoratori. In Libia c’è una popolazione di uomini d’affari, tanta gratuità da parte del Governo e di conseguenza poca istruzione per formarsi ad un lavoro qualificato; mancano strutture industriali, sociali, il turismo ha sempre stentato per ragioni culturali. Moltissimi libici vivono adesso in Tunisia. Penso sia stato il peggiore intervento militare della storia della Nato: per eliminare una famiglia scomoda si sarebbero potuti utilizzare altri mezzi.
Da noi si parla tanto di “integralismo islamico”, ma per la tua esperienza il problema è reale o fittizio?
L’integralismo non è necessariamente terrorismo. È solamente un’integrale applicazione, ovviamente male interpretata, dell’Islam che non permette l’inserimento in altre realtà di vita. L’integralismo nasce da chi guida un popolo e non dai singoli individui. La difficoltà dell’Islam sta nell’adeguarsi ai tempi percorrendo vie moderate. Il problema è che tra i fanatici è facile pescare menti malleabili da utilizzare per il terrorismo che è tutta un’altra cosa. Tuttavia, la voglia di vivere e di divertirsi, l’abbigliamento all’europea e la non profonda pratica religiosa che si nota nei popoli del Nord Africa, anche se esiste la fierezza di essere musulmani, credo rappresentino uno scudo inattaccabile da influenze che sconvolgerebbero tali abitudini.
E per finire, come ti appare Foligno in questi anni?
Purtroppo frequento la mia città natale solo per venire a salutare i miei genitori. Dal punto di vista estetico è migliorata ed ha saputo dare sempre più risalto alle ricorrenze delle feste cittadine. Le difficoltà economiche, specchio di tutta l’Italia e dell’Europa, non l’hanno risparmiata.
Grazie, Marco, continua a leggere la Gazzetta e sentiti un po’ il nostro corrispondente dall’Africa.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI