Confronto sull’educazione
Per continuare il percorso di studio e riflessione sull’educazione dei giovani e approfondirne le tematiche, la Gazzetta ha intervistato il Prof. Gaetano Mollo, Professore ordinario di Pedagogia generale presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia, Docente di Pedagogia presso l’Istituto Teologico di Assisi, affiliato alla Facoltà di Sacra Teologia della Pontificia Università Lateranense.
Che cosa significa, oggi, educare? Si sente spesso parlare di “deserto educativo”; è veramente impossibile trovare una goccia d’acqua come spiraglio di speranza?
In ogni epoca l’educazione ha rappresentato la necessità di tramandare valori e stili di vita. In tale prospettiva è stata quasi sempre autoritaria. Oggi ci troviamo in una realtà complessa e in continua trasformazione. È necessario educare a impegnarsi e rinnovarsi, sviluppando capacità critiche e creative. In quello che può apparire come un “deserto educativo” ci sono tante oasi formative, dove ci si abilita a osservare, comprendere, dialogare e condividere. Da queste piccole comunità educative bisogna saper ripartire.
I luoghi dell’educazione (famiglia, scuola, chiesa, vari contesti sociali…) che cosa hanno in comune, perché possano collaborare fra di loro?
La tentazione è che ogni ambiente educativo vada per conto proprio. Ciò che devono avere in comune è la volontà di cooperare, per formare persone capaci non solo di rispettarsi, ma anche di collaborare, capaci di riflettere e non solo di assimilare. Da questa collaborazione e da un minimo di comunicazione può costituirsi un sistema formativo che permetta ad ogni persona di integrare le diverse esperienze che famiglia, scuola o associazioni di vario tipo riescono a proporre e permettere.
Come sono vissute, oggi, le varie relazioni intergenerazionali? Come queste relazioni hanno modificato le dinamiche educative?
Uno dei pericoli è quello dell’incomunicabilità fra generazioni. L’era dell’informatica ha accentuato per certi aspetti questo fenomeno, oltre ai limiti di una famiglia spesso composta solo da genitori ed uno o massimo due figli, isolata in condomini impersonali. La presenza di nonni, zii, cugini e amici di famiglia è basilare per allargare le esperienze affettive e sociali. Bisogna far di tutto affinché tali reti affettive si costituiscano. C’è, inoltre, da dire che non si tratta tanto di avvicinarsi alla mentalità giovanile, da parte degli adulti – o, peggio ancora, di cercare di imitare i loro modi di vita all’insegna di un pietoso giovanilismo – , quanto di cercare contatti di esperienze e confronti intelligenti, dove il racconto e la memoria possano ancora affascinare le nuove generazioni e la freschezza e la sensibilità dei più piccoli riescano a stupire gli adulti.
Il relativismo e l’individualismo come vanno a incidere nella proposta educativa?
Qualsiasi proposta educativa non può essere relativistica. Se ogni posizione o convinzione è eguale, in nome di cosa si devono esigere dei comportamenti o si possono presentare dei modelli di vita? Il relativismo è la presunzione di coloro che, non riuscendo ad essere autenticamente scettici, vogliono assurgere a soloni delle assolutizzazioni del relativo. A parte l’evidente contraddizione, si deve invece riconoscere che ogni verità è in relazione alla maturazione personale e alle epoche della vita – come anche il grande pensatore di Foligno Pietro Ubaldi ha ben chiarito -, oltre alla diversità di culture e civiltà. L’individualismo, invece, è il grande mistificatore. Educare alla personalizzazione richiede di interiorizzare un personale modo di essere, ma anche la capacità di cooperare e condividere un bene comune, per cui arricchirsi intellettualmente e moralmente attraverso la partecipazione sociale.
C’è un metodo consolidato nel tempo valido per l’educazione?
Educare vuol dire liberare potenzialità e produrre situazioni di emancipazione. Pertanto, bisogna saper considerare le diverse situazioni ambientali e culturali e saper introdurre adeguate condizioni di decondizionamento. Oggi è necessario saper adottare un approccio critico sul piano intellettuale, ma anche saper rassicurare a livello affettivo e responsabilizzare gradualmente sul piano sociale. Se il fine è lo sviluppo di una coscienza etica, che sia anche una consapevolezza collettiva, qualsiasi mezzo atto a tale scopo può risultare utile, purché sempre rispettoso degli altri e non violento.
Gli adulti di oggi sono capaci di offrire alle giovani generazioni delle risposte credibili per problemi reali? Pensiamo alle aspettative di felicità.
Molti adulti non sono credibili. Adulto non lo si è per età o per responsabilità, ma per capacità di autonomia. Adulto è chi si auto-educa, ma si sente interdipendente con gli altri e la propria comunità di appartenenza, in maniera tale da sentirsi compartecipe e corresponsabile. Si devono dare esempi di vita in cui l’impegno, l’attesa e la perseveranza hanno portato alla felicità. Si deve poter testimoniare che il fine non è il piacere, ma la vera gioia, che sa passare anche per la sofferenza, oltre che per lo sforzo.
L’educazione come può aiutare la costruzione e la realizzazione di un progetto di vita?
Un progetto di vita è fatto di passione e perseveranza. È qualcosa che si persegue, come un viaggio di cui ogni tappa ne rappresenta il senso. Abituare i bambini al rapporto con la natura, a vivere la vita e lo studio come un’avventura ne sono le condizioni. Permettere di scoprire che anche nelle avversità c’è un’opportunità è fondamentale per poter produrre quelle che potremmo definire le tre “a” dell’avventura della vita: l’appassionarsi, l’apertura mentale e l’adattabilità.
© Gazzetta di Foligno – NICOLINA RICCI