Architettura e fascismo in Umbria
Nel corso del recente Festival dell’Architettura svoltosi a Perugia è stato presentato con gran successo di pubblico il bel volume curato da Paolo Belardi, Semplice semplice ma italiano italiano. Architettura moderna in Umbria, edito dall’Orfini Numeister con il contributo della Fondazione CR di Foligno.
I relatori hanno tutti convenuto sull’importanza del libro, che non dovrebbe mancare nelle biblioteche dei professionisti e dei politici umbri. Il testo è ricco di informazioni. Ci sono due saggi introduttivi che ricordano le linee essenziali dell’architettura del ventennio: materiali autarchici (cemento armato, litoceramica, vetro, laterizi); stile razionalistico, monumentale, con commistioni medieval-littorie; committenza pubblica per stazioni, scuole, monumenti, poste, impianti sportivi, case del fascio, ecc. Paolo Belardi parla di un’architettura in Umbria come storia di episodi ed individualità più che di tendenze.
Il volume tratta i casi di Perugia, Terni, Foligno, Spoleto, Orvieto e Bastia Umbra. Giovanni Bosi, tratteggiando l’architettura folignate del ventennio ricorda il Piano regolatore di Cesare Bazzani (1927-29), il nuovo campo sportivo del Littorio, l’ingresso con i propilei di Porta Romana, la sede della Pubblica Assistenza, i villini liberty di Viale Mezzetti (opera di Raschi e Sabatini), e quindi, penetrando lungo il Corso, l’Albergo Littorio, il Cinema Teatro Impero, la Casa del Mutilato, il Palazzo delle Canoniche. Chiudono il libro otto ritratti di architetti, nati e attivi in Umbria: Caterino Trampetti, Giuseppe Grossi, Giuseppe Preziosi, Dino Lilli, Antonio Bindelli, Carlo Cucchia, Domenico Pucci, Luigi Castori.
Il testo è però utile anche per le suggestioni che fornisce su due grandi questioni: il rapporto tra architettura e urbanistica, e il rapporto tra architettura e politica. Nel primo caso emerge come l’architettura del ventennio abbia avuto un impatto modestissimo a Perugia (la zona del Cinema Lilli, le scuole elementari Valentini e Ciabatti), in quanto la città impedì la contaminazione del suo centro storico; discreta a Foligno, con gli innesti significativi prima richiamati; decisamente importante a Terni, dove essa accerchia il vecchio centro storico e ricostruisce la città su due poli: quello civile, con il Palazzo del Governo e la Fontana di Piazza Tacito, e quello industriale, con il grattacielo, le abitazioni e il dopolavoro per gli impiegati e gli operai delle Acciaierie.
Quanto al rapporto tra architettura e regime politico, qui c’è da fare un atto d’onestà. Nel panorama architettonico italiano è giusto dire che l’architettura della prima metà del ‘900 (quella del periodo fascista) sia stata di gran lunga più importante di quella della seconda metà del secolo. Ciò si deve al fatto che nei regimi autoritari è in genere più facile, anche per scopi propagandistici, imporre committenze, stili e regole dal centro, che risultano sicuramente più coerenti anche se talvolta insopportabili per enfasi retorica. Nei regimi democratici, dove la committenza è più modesta e frammentata, è più raro trovare capolavori architettonici. Ma sta forse qui la vera sfida per gli amministratori pubblici, gli uffici tecnici e gli architetti in tempi di democrazia.
© Gazzetta di Foligno – ROBERTO SEGATORI