I referendum
Le forze politiche hanno discusso sulla utilità o meno dei referendum del 12 e 13 giugno. Alcune si sono espresse per il sì, altre si sono astenute dal dare indicazioni, evitando in genere di politicizzare la campagna elettorale, il governo ha detto che terrà conto della volontà dei cittadini. Sull’acqua e sul nucleare non sono mancati appelli a “ragionare” e ad “uscire dall’ambiguità”, anche per la complessità della materia non sempre padroneggiabile da tutti.
Ma è sul “legittimo impedimento” che il sentire comune sembra manifestare le più ampie perplessità. In Italia, infatti, il cittadino può far spostare un’udienza in un processo che lo vede coinvolto, se è impedito per un motivo grave, come ad esempio una malattia. Ora però, in base alla legge n. 51 del 2010, se l’imputato è il Presidente del Consiglio, o un Ministro, questi può chiedere di non presenziare al dibattimento e dunque di rinviarlo per una serie piuttosto estesa di impedimenti, ivi inclusa “ogni attività coessenziale alle funzioni di governo”.
Ma la legge in questione porta con sé un paio di curiosità che hanno suscitato diversi sospetti negli oppositori. In primo luogo ha una validità temporanea di soli 18 mesi, in attesa di una legge di grado costituzionale. Inoltre, dopo la bocciatura del Lodo Alfano, questa legge che voleva porvi rimedio è stata dichiarata incostituzionale (il 13 gennaio 2011), laddove prevedeva “l’impedimento continuativo” e automatico, senza che il giudice potesse valutare l’effettiva consistenza dell’impedimento autocertificato dal soggetto interessato. Chi voterà sì a questo referendum abrogativo, ritiene di dover ribadire che la legge, in democrazia, deve essere uguale per tutti. Anche i politici hanno il diritto e il dovere, se imputati, di difendersi, ma nel processo, come tutti i cittadini, e non fuggendo da esso. Quanti governano, al centro come in periferia, hanno responsabilità e compiti che esigono comportamenti trasparenti ed esemplari, più di quanto non sia richiesto agli stessi cittadini e non possono pretendere di godere di privilegi e impunità. Nella prima Repubblica – pensiamo ai casi di Leone e di Andreotti – i politici indiziati e processati si facevano momentaneamente da parte e non temevano il processo; ora, invece, si vorrebbe che si facessero da parte i giudici e si evitassero i processi. Ma i cittadini non possono tollerare, oggi e per il prossimo futuro, che quanti “salgono in politica” pretendano di ripulire le proprie magagne con la giustizia con la sospensione del processo e, a seguire, la prescrizione breve. Più in generale, c’è un’etica nella politica che la classe politica di oggi fatica ad accettare: chi si candida a guidare gli altri verso il bene comune deve farlo con la responsabilità di chi vuol servire il Paese senza pretendere privilegi e con la capacità di elevarsi in maniera evidente sui modelli comuni di comportamento, non sempre rispettosi della legalità. Un tempo si voleva che a fare politica fossero “i migliori” e la Chiesa ha sempre pregato perché ci fossero politici “santi”. Sarebbe già molto avere dai politici di oggi maggiore dignità e comportamenti più misurati e sobri.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI