La Chiesa e l’Architettura
“La chiesa, intesa come edificio, appartiene a un’architettura molto speciale e, più in generale, all’arte sacra. Gli ultimi anni del ventesimo secolo hanno visto l’insorgere di tesi secondo le quali l’arte sacra, per cui anche l’architettura sacra, non ha ragione d’esistere, perché l’architettura crea luoghi e oggetti che l’uomo può destinare a vari usi… Gli edifici, però, non si distinguono gli uni dagli altri solo per la funzione che assolvono, bensì per ciò che sono chiamati a essere e rappresentare, quindi per la loro dimensione ontologica e non solo funzionale”. (da: “Le Corbusier ed Enzo Piano: difficoltà dell’architettura religiosa nel comunicare il sacro”).
Condivido pienamente le parole di Mons. Simone Giusti, architetto e Vescovo di Livorno, anche quando afferma che la Chiesa, non sempre, e non necessariamente, ha attinto ad artisti cristiani per costruire le sue opere. La Chiesa si è avvalsa però di Artisti, cioè di coloro che, per definizione, hanno una grande vita interiore. Mi consenta, Mons. Giusti, di sollevare una piccola eccezione.
L’esempio portato da S.E. del grande Caravaggio è riferito a un Artista che era già tale quando egli era in vita, avendo dimostrato quanta sofferenza interiore e quanta religiosità traspariva dalle sue opere.
Credo che oggi, in epoca troppo moderna, sia molto difficile valutare il vero Artista o, quanto meno, colui che, nel porsi come progettista di un’opera sacra, soffre e vanta una religiosità interna finalizzata (esclusivamente) all’incarico ricevuto.
Personalmente credo che non bisogna necessariamente essere cattolici e cristiani per avvicinarsi alla progettazione di un luogo di culto. Sono altresì convinto che il percorso di vita, culturale e religioso, possa invece fare la differenza nel risultato della progettazione.
Il Corriere della Sera, ormai, da tempo, edito il 10 novembre 2007, riporta “gli stili” di due grandissimi architetti che hanno testimoniato la loro fede attraverso due magnifiche opere. Non parlerei, nel caso di Gaudi e di Meier, di “stili”. Forse sarebbe meglio parlare d’interpretazione della loro fede.
Gaudì, cattolicissimo, espresse la sua fede attraverso l’innalzamento della sua opera, la Basilica della Sagrada Familia a Barcellona, verso il cielo, verso Dio. Mentre Meier, ebreo, comunque credente, ha espresso la sua religiosità attraverso la luce, che diventa composizione architettonica e spirituale, nella Chiesa di Tor Tre Teste a Roma.
Personalmente ho avuto la fortuna di conoscere e di lavorare con il più grande interprete dell’architettura dettata dal Concilio Vaticano II: Franco Antonelli. Anche lui architetto, a Foligno, e ormai, da tempo, purtroppo scomparso.
Autore della Chiesa del Buon Pastore a Foligno, della Chiesa di Santa Croce a Spello, del Monastero e della Chiesa di Santa Maria di Betlem, della Chiesa del Sacro Cuore a Foligno, della Chiesa di Corvia, della Chiesa di San Ferdinando a Perugia e del presbiterio della Chiesa di San Giuseppe Artigiano a Foligno, egli risultò anche secondo al concorso internazionale per la realizzazione del Santuario dedicato a Padre Pio a San Giovanni Rotondo, poi, di fatto, realizzato dall’architetto Renzo Piano.
Solo la grande religiosità, e la passione vera per il suo lavoro, hanno consentito a Franco Antonelli l’ideazione di tali opere, che l’architetto Sergio Lenci, suo grande amico, così commentò: “sperimentazioni audaci che testimoniano una tensione tra fantasia, linguaggio e invenzione che raggiunge risultati originali e di alto livello poetico”.
Perdonatemi se non riconosco alcun linguaggio poetico e nessun’altra sperimentazione se non nelle opere di Gaudì, di Meier e di Franco.
© Gazzetta di Foligno – CLAUDIO TRECCI