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Verso il Convegno

Verso il Convegno: interviene Michele Faloci, nipote del fondatore della Gazzetta

Mi chiamo Michele Faloci e sono nato nel 1939, e il Monsignore mio prozio è tornato al Padre nel 1940. Ci siamo dunque conosciuti, e so di sicuro che ha gradito che portassi il suo nome e mi ha benedetto.
Ringrazio grandemente i direttori e la Gazzetta di Foligno per questa celebrazione e tutti i relatori che onorano almeno 350 gradi della personalità del mio grande prozio, e mi lasciano così uno spiraglino …eccolo: per quanto si diceva in famiglia, so che verso i suoi 15 anni egli fu gravemente malato non so di che malattia, forse tifo.

Lo zio o per visita al vicino Monastero o per altro motivo, conosceva S. Chiara da Montefalco, agostiniana, non la più nota francescana. A Lei fece voto di dedicarsi e anche di farsi sacerdote, se si fosse salvato. Così fu. E ormai sacerdote, don Michele Faloci Pulignani, tra le sue altre molte attività, tradusse e rilanciò ‘La vita di Santa Chiara da Montefalco’ scritta nel tredicesimo secolo da Berengario de Sainte Afrique.
(Piccola parentesi: una santa particolare S. Chiara da Montefalco: poiché era solita dichiarare di avere la passione di Gesù nel suo cuore, le sue suore -primo ed unico caso- organizzarono per la sua morte immediatamente un collegio di notabili della cittadina, notai ecc. e senza tanti complimenti le fecero un’autopsia pienamente legale. Le aprirono anche il cuore e qui trovarono effettivamente elementi per niente previsti dall’anatomia, ma in relazione alla passione di Gesù. NB. Quel cuore è tuttora visibile nella chiesa del Monastero a Montefalco).
Torniamo a noi: sono geologo, idrogeologo e ho girato e lavorato molto come libero professionista, in Africa e non solo. Ma un giorno, andando in auto con mia moglie verso Assisi, mi sono perso e sono approdato in questa cittadina di Montefalco spesso nominata in famiglia, ma che non conoscevo; visitammo e conoscemmo dunque questa santa Chiara e devo dire che mi fece un effetto che non saprei definire, ma che posso definire particolare.
Poco tempo dopo ebbi un’offerta per l’Asia anglofona, Filippine, per cercare acqua per cento cittadine. Accettai, ma ero piuttosto preoccupato perché ero allenato a lavorare invece nella ben diversa Africa francofona. Ed anche perché le Filippine sono costituite da migliaia di isole, delle quali solo poche decine sono abitate: tra queste in una di quelle maggiori del nord, Luzon, era attiva la guerriglia diciamo comunista, che si auto-alimentava con il sequestro facile, specie di stranieri. Al sud invece, nell’isola di Mindanao era attiva quella musulmana con la mania di sequestrare italiani, possibilmente preti ma non solo, per avere un contatto col Vaticano, speravano. Ed io avrei dovuto lavorare un po’ ovunque, anche in Luzon e Mindanao.
Prima di partire ci capitò di recarci -volontariamente, stavolta- di nuovo a Montefalco e tra l’altro le suore ci dissero di avere delle consorelle nelle Filippine e mi dettero un portachiavi con l’effigie di Santa Chiara e un rosario fatto con loro particolari semi dalle suore stesse, invitandomi a portarli sempre con me.
Poi partii, come solitario consulente di una società italiana installata là; arrivai a Manila, e, poiché dovevo stare per un anno, feci i documenti per prendere temporanea residenza là. Una segretaria mi guidò tra la burocrazia locale (dove tra l’altro è indiscussa consuetudine prendere le impronte digitali, cosa tanto discussa in Italia); ci fu una pausa di qualche ora e la segretaria mi chiese se volessi fare un po’ di turismo. Accettai e mi portò ad ‘Inframuros’, la cittadella fortificata del 1600, spagnola, cuore della loro successiva espansione nell’area. Il cuore di questo cuore era una massiccia cattedrale. Sul frontale era svolto un mega-stendardo, -tipo quelli delle beatificazioni a San Pietro- di circa cinque per dieci metri: era proprio di Santa Chiara da Montefalco.
Devo dire che gradii molto quella sorta di accoglienza e di ‘benvenuto’.
Lavorai a lungo in Luzon; sequestrarono un ingegnere della stessa mia società con il quale lavoravo gomito a gomito, ma a me andò bene.
In Mindanao ebbi tra l’altro ad andare -con una scorta anti sequestro per me ed i miei partner, ingegnere e geologo locale,” in una cittadina che si chiama Bajugan. Alcuni ‘barangay’ (frazioni) erano ad una decina di kilometri di salita su sentiero scivoloso di montagna, ed erano raggiungibili in pratica solo con potenti moto attrezzate in modo singolare: una sorta di H in robuste tavole inchiavardate, girata di 90 gradi, cioè con un’asse maggiore attorno al corpo della moto su cui sedevano conduttore ed un adulto dietro di lui, e due alucce davanti e due dietro. Sulle alucce venivano alloggiati in modo raccapricciante sacchi, pacchi, animali, ma anche bambini. A me dettero come conduttore un giovanotto che aveva scritto sul giaccone ‘El Desperado’, il quale mi disse di tenermi bene perché ‘per non scivolare indietro, dovevano andare avanti sparati’ e dimostrò subito la sua tecnica di guida. Oltretutto si mise anche a piovere e d’urgenza chiesi al mio Angelo Custode di attivarsi e chiamare subito anche Santa Chiara, presumibilmente esperta del posto.
Andammo su e giù per alcuni giorni: ebbene, tutti gli equipaggi caddero una o più volte, fortunatamente senza farsi troppo male, ma noi non cademmo mai.
Qualche tempo dopo dovevo spostarmi nel Bulacan, poco a nord di Manila, zona difficile anche quella, ed esposta a violenti tifoni. Una volta riparammo in un particolarmente bell’ospedalino: era gestito dalle suore di Montefalco e vistosamente intitolato a Santa Chiara.
Forse sono casi assolutamente fortuiti, ma personalmente in tutto questo ho visto il revival del rapporto particolare di Santa Chiara da Montefalco con mio zio, esteso come benedizione al nipote omonimo di tanto Prozio, che l’aveva … “rispolverata”… O no ?

© Gazzetta di Foligno – MICHELE FALOCI

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