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Le domande scomode del caso Meredith

Da mesi l’omicidio di Meredith Kercher è sotto i riflettori dei media, RAI Tre Umbria in primis. Abbiamo ora anche un film e un audiolibro, più adatti a turbare la fantasia che a illuminare la coscienza. Tutto fa cassetta.

Non c’è invece il coraggio delle domande scomode: quelle che preoccupano gli educatori. Perché i reati di violenza sessuale e per atti di libidine aumentano paurosamente? Come mai nella società permissiva, dove il tabù del sesso è scomparso quasi del tutto e l’accoppiamento in età giovanissima pare non costituire più un gran problema, la violenza carnale è in aumento? Perché aumentano coloro che usano la forza per avere quanto, data la liberazione dei costumi ormai acquisita, non dovrebbe essere difficile guadagnarsi con un po’ di persuasione? Il crescendo degli stupri non contraddice il luogo comune secondo cui l’aggressione sessuale troverebbe terreno fertile nella società bacchettona, austera e repressiva?

Una società puritana può certamente incentivare il bisogno di trasgressione. Ma il clima morale severo che in essa si respira, costituisce anche un freno alla sua libera soddisfazione. L’effetto che questo contenimento forzato può produrre, è la nevrosi, direbbe Freud. Ma la nevrosi, proprio perché è il prezzo della repressione degli istinti asociali, è il contrario della perversione che si attua nel passaggio agli atti effettivi di violenza carnale. Ora nella società permissiva, dove si allenta quella pressione pubblica che rendeva più difficile la trasgressione, i soggetti meno equilibrati e più fragili nell’autocontrollo sono molto più esposti e facili a scatenarsi. A ciò si aggiunga la suggestione che su menti non sempre solide esercita il martellamento di immagini porno erotiche e sadiche dei media. Un fatto è certo, ci dicono oggi gli psicologi: coloro che si abbandonano ad atti di violenza carnale contro persone più deboli, come donne e bambini, manifestano un deficit di maturità psico-sessuale, sempre più dovuto a quella sorta di “educazione molle” che non favorisce l’evoluzione dallo stato infantile a quello adulto. Uno dei mali più diffusi e non sempre percepiti di questo tipo di società è l’aspetto regressivo che esso può avere sul carattere dei giovani, il fatto di provocare un ritardo e non un avanzamento nella maturazione. Tocca allora agli educatori fare capire che non si diventa grandi se si vive nella bambagia del consumismo, se non si hanno ostacoli nel soddisfacimento dei bisogni, se non ci si ispira al principio, proprio di tutti i riti di iniziazione, secondo cui gli oggetti più soddisfacenti del desiderio non sono quelli di facile acquisizione, ma quelli che si ottengono dopo aver lottato a lungo e duramente. E qui i genitori non possono delegare ad altri la formazione dei figli. Ma anche l’istituzione scolastica non può sottrarsi al compito di preparare i ragazzi ad un atteggiamento responsabile nei confronti della vita e anche dell’amore e della sessualità. Famiglia e scuola devono essere più consapevoli che il compito dell’educatore è parlare e che il tacere è la peggiore forma di educazione. Anche perché chi tace, neppure ascolta.

© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI

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