Si accende il dibattito sulla scuola pubblica
Interventi di Mauro Pescetelli, Guglielmo Tini, Maria Pia Giorgetti
I valori cristiani non sono affare per pochi
Carissimi Direttori,
a partire da alcuni episodi enfatizzati dalla cronaca nazionale, anche il “nostro” settimanale ha intensificato i suoi interventi in materia di politica e valori. Essi concordano nell’esprimere una posizione su cui mi sembra necessario un approfondimento di riflessione.
Nel numero di domenica 6 marzo il prof. Tini afferma: “Non mi dà fastidio che il premier abbia attaccato la scuola pubblica […]. Quel che mi dà fastidio è che si parli di valori […]. Quella dei valori è una grammatica così esigente ed aristocratica – nel senso etimologico e nobile del termine – che può solfeggiarla soltanto chi, per dirla con Dante, è dotato di mente chiara e affetto puro”.
Nell’editoriale del prof. Nizzi, “L’Italia che non si diverte” si legge: “Non si divertono nemmeno quanti […] sono stanchi di sentire la difesa politica dei valori cattolici […] poi sistematicamente smentita dai comportamenti personali e pubblici di quanti a parole se ne fanno paladini”.
Mi sembra una posizione rischiosa, sia del punto di vista morale che da quello politico. Se per parlare di valori fosse necessario essere moralmente irreprensibili, sarebbe una questione per pochissimi. Saremmo tutti tagliati fuori, i valori resterebbero in una turris eburnea, irraggiungibili e irrealizzabili.
A me, invece, da cattolico, fa piacere vedere come i valori che professo, siano difesi anche da chi non è con essi coerente, ma ne riconosce la rispondenza con i desideri autentici del cuore umano ed è disposto a legittimarli come possibile strada per la costruzione di una società più umana.
Se pensiamo che i valori cristiani siano un affare per pochi adepti, rischiamo di esiliarli dentro le nostre coscienze e di renderli inincidenti nella costruzione della società in cui ci troviamo a vivere.
Una parte del mondo cattolico, in nome del primato della coscienza personale e della distinzione tra valori per pochi (i cattolici auto-rinchiusi in una sorta di riserva indiana) e valori per tutti, ha rischiato di imporci le coppie di fatto omosessuali (DICO) e di affossare una legge (la 40/2004) che ha messo ordine nel far-west delle tecniche di fecondazione assistita. La legge sul testamento biologico sarà un altro banco di prova di queste opposte concezioni.
In nome della libertà di coscienza si contribuisce a generare una coscienza comune in cui sia smarrito il valore della persona. Giustizia sociale, solidarietà, legalità, capacità di accoglienza sono temi sacrosanti. Ma senza una umanità cambiata dalla presenza di Cristo, non sono neanche immaginabili. Per questo la difesa dell’antropologia cristiana mi sembra questione prioritaria rispetto a qualunque altro tema, anche se a difenderla ci fosse Belzebù in persona. Su chi sia Belzebù, poi, la discussione è aperta. Mi ha sempre colpito la descrizione che ne dà Soloviev nel racconto L’Anticristo: «un “convinto spiritualista”, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo, ed infine un esperto esegeta con laurea honoris causa in teologia presso l’università di Tubinga».
Con amicizia e stima,
MAURO PESCETELLI
Schermaglie di scoliasti
Neanche fosse a firma di un vero giornalista, il mio articolo L’esorcista (nella Gazzetta del 6 marzo scorso) ha suscitato molte reazioni di fastidio, alcune delle quali apertamente manifestatemi di persona, altre affidate a comunicazioni via e-mail. Nell’uno caso e nell’altro il comune denominatore è (sarebbe) una malcelata presunzione da parte di chi scrive nel definire i termini del concetto di valore. Insomma, mi si dice, se per parlare di valori bisognasse essere irreprensibili, di valori non parlerebbe nessuno; così una lettrice nel messaggio che mi ha inviato. Ragionamento ineccepibile, sul quale non si può che concordare. Faccio tuttavia presente che il mio disappunto verteva (e verte ancora) sul fatto che, a mio parere, il discorso sui valori – in se stesso non privo di ostacoli e di fianchi aperti – tenda a diventare un po’ merce di contrattazione ai saldi della politica. Un lettore di vecchia data della Gazzetta mi mette anche in guardia dal salire sul comodo carro dei vincitori (quali? Attorno a me non vedo che ira): è facile – scrive in sostanza – sentenziare sulla condotta degli altri! Mica tanto: è più facile cercare il bersaglio grosso (la scuola per esempio) e costruire su di essa consueti e mistificanti non sensi. Quanto al carro, il lettore si tranquillizzi: preferisco andare a piedi. Quello che ho scritto, l’ho scritto in buona fede, non nascondendo un malumore che sento comunque come legittimo perché, per restare al particolare, non mi va proprio giù che di tutta l’erba si faccia un fascio: la scuola (pubblica) avrà anche mille mancanze, ma senza di lei saremmo tutti molto, ma molto più poveri. Quanto al tono dell’articolo, esso non voleva essere (assolutamente parlando) né saccente né irriguardoso; qualora possa aver dato questa impressione, ribadisco da un lato di essere contento di quello che ho scritto, dall’altro di precisare – manzonianamente parlando – che se qualche uggia si è sollevata si è proprio fatto apposta.
© Gazzetta di Foligno – GUGLIELMO TINI
Un’insegnante arrabbiata
Carissimo direttore, sono un’insegnante della scuola pubblica orgogliosa della mia professione e Le scrivo per comunicare il mio disagio e la mia rabbia dovuti alle reiterate accuse di cui sono oggetto, insieme ai miei colleghi, da parte di ministri della Repubblica. Sono un’insegnante e non una fannullona: ogni giorno m’impegno con passione a svolgere la mia funzione di educatrice, lavorando con i miei studenti per abituarli a pensare il presente, giudicare il passato e volere un futuro diverso dall’oggi, caratterizzato da un diffuso degrado morale e civile e da un’allarmante superficialità del non-pensare (H. Arendt).
Sono un’insegnante e il mio compito non è inculcare valori: nella scuola pubblica m’impegno a diffondere nei giovani la consapevolezza che un’autentica democrazia è relativistica nel senso che “non ha fedi o valori assoluti da difendere, a eccezione di quelli su cui essa stessa si basa” (G. Zagrebelsky). Il relativismo democratico infatti, al di là di quello che sostiene la Chiesa, non è una forma di nichilismo, ma è condizione necessaria affinché tutti possano far valere i propri valori, mentre si impegna a difendere i principi costituzionali dell’uguaglianza e dignità della persona, della giustizia sociale e della solidarietà, del pluralismo e della tutela delle minoranze, della individualità originale e della sana competizione, basata – quest’ultima – sul confronto paritario e sul dialogo concreto.
Sono un’insegnante, ma anche una madre che ha scelto per la propria figlia la scuola pubblica. E mentre credo e difendo il principio della libera scelta tra istituti pubblici ed enti privati, questi ultimi istituiti senza oneri per lo Stato, rivendico con forza l’impegno della Repubblica per l’effettivo diritto all’istruzione nelle scuole pubbliche, indirizzando verso queste il massimo sforzo economico, affinché “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, possano raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Sono un’insegnante, una madre ed una credente altrettanto arrabbiata e delusa. Condivido le parole efficaci di Chiara Saraceno su Repubblica sulla doppia morale della Chiesa e sul doppio cinismo di chi ci governa e della gerarchia ecclesiastica che lo legittima. Come credente nei valori universali del cristianesimo, non mi riconosco nelle scelte politiche della Chiesa italiana che, per ottenere dal governo attuale vantaggi economici e giuridici in termini di leggi e finanziamenti ad essa favorevoli, è pronta a derogare proprio a quei principi definiti indisponibili, ma che in realtà impone come obblighi morali solo ai comuni cittadini cattolici. Se la “santità”, cui spesso fa riferimento il Papa, coincide con la coerenza tra azioni e principi morali, la Chiesa non dovrebbe tollerare ed ancor meno legittimare chi irride ai valori cristiani e soprattutto al modello della famiglia cristiana. Una politica che non sia servizio alla persona, ma al contrario tutela d’interessi personali o di classe, è contraria all’ordine cristiano (E. Mounier).
MARIA PIA GIORGETTI