Armi di distrazione di massa
Una riflessione sulla “deriva banalizzante della cultura televisiva” italiana”.
Vent’anni fa il filosofo Popper parlava di “cattiva maestra televisione” e Giovanni Paolo II metteva in guardia dalla “bambinaia elettronica”. Entrambi proponevano di risolvere il problema della Tv attraverso il controllo e l’autocontrollo. Deciso e preoccupato il filosofo: “La televisione ha un enorme potere sulle menti umane, un potere che non è mai esistito prima. La sua influenza, se non la limitiamo, ci sta conducendo lungo un pendio che è contro la civilizzazione, che rende impotenti gli insegnanti”. E gli insegnanti, allora, ritennero eccessiva la preoccupazione del filosofo liberale che proponeva di imporre regole al “terribile potere” della Tv. Ma oggi cominciano a ricredersi. I media, infatti, interferiscono nel processo educativo, nella formazione delle idee e del consenso.
Genitori e docenti, ma anche le istituzioni religiose e politiche – almeno quelle più attente al futuro della democrazia nel nostro Paese – manifestano un senso di preoccupazione e di inquietudine di fronte a concorrenti più allettanti e portatori di un evidente vantaggio competitivo. E se Popper avesse ragione? E se fosse nel giusto la recente indignazione di Famiglia Cristiana per “la deriva banalizzante della cultura televisiva” italiana e soprattutto per le televisioni commerciali lasciate libere di modellare una nuova generazione di italiani? Queste, di fatto, hanno creato mentalità, hanno cambiato costumi e stili di vita, hanno prodotto nuovi valori, e non tutti di segno positivo. Pensiamo all’immagine della famiglia, della donna e del corpo; alle fortune sognate dai ragazzi dove il desiderio è scambiato per realtà e il bisogno è confuso con il diritto. In passato ci si preoccupava per gli effetti della violenza televisiva sui bambini. Ma è giunta l’ora di temere – e questa volta per i giovani e gli adulti – le varie categorie del degrado che, in una Tv salottiera e scherzosa, finiscono con l’essere normalizzate e presentate addirittura come autentiche esperienze di vita, o come personaggi di invidiabile successo.
Ci si difende affermando che questa è la realtà di oggi e si teme ogni forma di censura bacchettona che possa privare del diritto all’informazione o limitare la libertà dei comportamenti individuali. Ma questa non è informazione, è una forma ipocrita di legalizzazione degli aspetti più negativi e sciocchi della realtà. Quando l’informazione televisiva si riduce a spettacolo e si allontana sempre più dai veri problemi dei cittadini e del Paese reale, le Tv dell’intrattenimento diventano armi di distrazione di massa, strumenti efficaci per ottenere il consenso. Queste Tv, infatti, esercitano alla lunga una grande influenza non tanto sui comportamenti immediati delle persone, quanto sulla loro visione del mondo, sulle dinamiche di previsione del proprio futuro. Dopo trent’anni ce ne accorgiamo: niente punti fermi, niente certezze, un’allegra assenza di valori, una Tv a servizio della curiosità pettegola e morbosa degli utenti, che essa stessa provoca e ricerca. Forse ha ragione Popper: “una democrazia non può esistere a lungo fino a quando il potere della Tv non sarà stato pienamente scoperto”.
© Gazzetta di Foligno – ANTONIO NIZZI