Stefano Ponti a trent’anni dalla morte
Un’iniziativa della Gazzetta
Stefano Ponti collaborò alla Gazzetta di Foligno dal dopoguerra fino agli ultimi mesi della sua esistenza e il settimanale diocesano, rendendosi interprete dei sentimenti di riconoscenza che, nonostante il passare del tempo, sempre emergono dalla Chiesa locale e dalla città, ne ricorda la grande figura di cristiano dalla profonda fede, di politico capace e lungimirante, di amministratore appassionato e competente. Meriti, questi, riconosciuti sempre anche dagli avversari. La sua prematura scomparsa privò i cattolici folignati di una guida e di una bandiera, lasciando un vuoto che non si sarebbe più colmato. Per ricordare la sua persona e la sua opera, abbiamo chiamato a scrivere alcuni amici di Stefano che l’hanno conosciuto nel vivo dei suoi molteplici impegni.
Sabato all’Istituto san Carlo, dove Stefano si formò da giovane, la testimonianza dei sancarlisti ancora sulla breccia concluderà degnamente la nostra commemorazione. Ma a chi volesse sapere di più sul pensiero e l’azione politica di Stefano, consigliamo sempre l’ottimo libro di Don Dante Cesarini, Un uomo per gli altri. Vita e scritti di Stefano Ponti (1922-1981). Alcune copie sono messe a disposizione dall’autore.
Antonio Nizzi
Un profilo politico
Ho cominciato a conoscere Stefano Ponti nell’ambito della Sezione DC di Foligno. In precedenza avevo avuto certamente la percezione di Stefano come uno dei più prestigiosi rappresentanti del Partito, ma quando dal 1966 al 1968 divenni Segretario della Sezione e cominciai a partecipare alle frequenti e lunghe riunioni del Comitato Comunale della DC, guidato allora da Lucio Benigni, ebbi modo di apprezzare la sua grande statura politica.
Erano i tempi dell’Amministrazione comunale di centrosinistra (sorta a novembre del 1964), di cui Stefano era il vice-sindaco con delega allo sviluppo economico. Vigeva uno stretto rapporto tra il Partito e gli Amministratori della DC, che ne seguivano la linea politica. Per le questioni generali che riguardavano l’Amministrazione nel suo complesso, erano gli organismi di tutti i partiti della maggioranza, riuniti unitariamente, che indicavano le soluzioni. Pertanto molto frequentemente ci si riuniva in Partito e spesso anche su richieste urgenti del vice-sindaco Ponti, specialmente quando insorgevano divergenze con amministratori degli altri partiti, come in particolare avvenne con l’assessore del PRI, che poi, verso la fine della “legislatura”, uscì dalla maggioranza. Fu in questa fase che Stefano svolse in Consiglio Comunale una serie di interventi di carattere politico-amministrativo molto rilevanti, come quello del 27 ottobre 1969 su come migliorare il modo di porsi e di far politica dei partiti. Durante tale seduta, nel corso della quale l’avv. Celso Francesconi aveva comunicato l’uscita dal PSI e la formazione del nuovo gruppo del PSU, Stefano intervenne con queste parole: “Occorre confrontarsi con i movimenti nuovi della società, senza chiudersi in una specie di esclusivismo partitico, rivolgendosi, invece, ad altre forme che si stanno sviluppando”. Si era dentro la stagione del ’68. Anche nel rapporto con le opposizioni di sinistra, come riferivano i giornali di allora, Stefano sostenne il bisogno di un confronto, tenendo presente che permanevano “temi di dissenso di fondo, quale la società da costruire”, ma che “la politica della contrapposizione frontale verso altre forze di sinistra stava facendo il suo tempo”. Nella Gazzetta di Foligno del Natale 1969 Stefano così scrisse: “Occorre un’azione sistematica di promozione politica in tutte quelle sedi istituzionali in cui non si voglia puramente e semplicemente gestire il potere, secondo le forme antiquate del nostro ordinamento, ma si voglia invece diffondere il potere attraverso una nuova organizzazione dell’attività pubblica”; e rivolgendosi ai gruppi di opposizione li sollecitava a “non assumere il ruolo di chi utilizza ogni e qualsiasi piega della protesta, ma di cercare un ruolo positivo che escluda atteggiamenti esclusivisti”.
A questo punto devo ricordare il Congresso regionale della D.C., tenutosi in Assisi il 18 gennaio 1970, in cui fu presentata la lista della Base con capolista Stefano, che segnava una differenziazione rispetto ai fanfaniani e il passaggio di tutto un gruppo di militanti democristiani folignati dalla corrente fanfaniana, guidata da Luciano Radi, a quella della sinistra di Base coordinata in Umbria da Alberto Ciuffini. La stampa locale del giorno dopo titolava: “Clamorosa la spaccatura dei fanfaniani folignati”. Non fu una scelta facile, pur maturata politicamente da tempo, soprattutto per i suoi riflessi sul piano dei rapporti personali. Con questo stato d’animo ci ritrovammo, come gruppo, la sera stessa del Congresso, a casa di Stefano, che non aveva partecipato all’assise per gli strascichi di un’ influenza, come peraltro anche Luciano Radi. C’erano Ermanno Benedetti, Lucio Benigni, Andrea Casale, Sabino Formica, Fabio Bettoni ed Hans Schoen. Si prese atto che altri amici non avevano aderito alla nostra scelta e si cominciò a definire la strategia da seguire, nella consapevolezza di dover intraprendere una stagione di rilevante impegno politico. Un sforzo di proselitismo per ampliare il gruppo, ma soprattutto un impegno politico-culturale per rispondere alla nota politica redatta nel frattempo dai fanfaniani, che intendeva “sviluppare all’interno del Partito la più costruttiva e cordiale dialettica di base per la chiara individuazione delle posizioni politiche di ciascuno” ed approvava il “comportamento degli amici Pergolari, Conversini e D’Ingecco e l’atteggiamento politico dell’onorevole Radi al congresso regionale del partito”. Cominciò così una fase di intenso impegno, di confronto di posizioni all’interno del Partito, e successivamente durante la campagna elettorale in vista delle elezioni amministrative del giugno 1970 per il rinnovo del Consiglio comunale di Foligno e, per la prima volta, del Consiglio regionale.
Durante la campagna elettorale, con Stefano, intensificammo i nostri interventi, essenzialmente sulla Gazzetta di Foligno, per puntualizzare i contenuti della nostra linea politica e respingere artificiose interpretazioni. Alle elezioni per il nuovo Consiglio regionale, Stefano non fu eletto. Fu eletto comunque al Consiglio comunale di Foligno, dove guidò, con il massimo impegno, il gruppo consiliare DC, che era così composto: Stefano Ponti, Giancarlo Aisa, Lucio Benigni, Alvaro Bucci, Piero Codignoni, Marzio Conversini, Leo Damiani, Denio D’Ingecco, Pierino Finauri, Sabino Formica, Carlo Ieva, Pietro Natalino Pergolari, Fabio Bettoni e Giuseppe Polanga.
Per la formazione della nuova giunta, il PSI iniziò una serie di consultazioni per predisporre un quadro di valutazioni sulla situazione politico-amministrativa. Stefano propose un dibattito “senza “soluzioni precostituite o accordi già stipulati”, ma il PSI si era già accordato per formare una giunta con il PCI ed il PSIUP, eleggendo a sindaco Antonio Ridolfi.
Un ultimo riferimento di rilevanza politica. Nel dicembre del 1970, in occasione dell’approvazione del Bilancio comunale di previsione per il 1971, Stefano, attraverso una serie di valutazioni ed approfondimenti, sulla base di precise motivazioni, preparò il gruppo consiliare ad esprimere voto favorevole. Fondamentale fu la valutazione che “il bilancio preventivo del Comune di Foligno per l’anno 1971 è impostato per larghissima parte sui criteri adottati dalla precedente dirigenza civica di cui la DC faceva parte”. Nella seduta del Consiglio comunale, Stefano fece un ampio intervento per chiedere l’accoglimento di alcuni rilievi tecnico-amministrativi e la convergenza su alcune valutazioni concernenti l’esigenza, per tutte le forze politiche, di un “nuovo modo di interpretare la realtà sociale, economica e culturale” , dando “vita e vitalità ad un incontro-confronto leale e libero dai superati schemi della contrapposizione per la contrapposizione”. La risposta da parte della maggioranza socialcomunista fu affidata al consigliere Lazzaroni, che era stato chiamato appositamente in quanto ancora non presente all’inizio della riunione. Le risposte puntuali e significative dell’esponente comunista resero possibile il voto favorevole del gruppo DC.
Alvaro Bucci
Nel groviglio dei ricordi
Non è affatto difficile a distanza di tempo, sono passati ormai trent’anni, ricordare una figura come Stefano Ponti. Nell’affollarsi dei tanti ricordi ne voglio citare solamente alcuni che hanno fatto parte della mia formazione, come uomo, come padre e come giornalista. Ero appena stato nominato, alla metà degli anni ’70, commissario del Movimento giovanile della Dc. E il mio primo colloquio fu proprio con Stefano, che mi introdusse nell’ambiente politico facendomi conoscere le dinamiche del partito e i suoi ideali. Ma era la sua forte intelligenza quella che mi conquistò, la sua capacità di interpretare la politica come servizio in favore della comunità, dei più deboli, dei giovani, delle istituzioni in cui credeva fermamente. Noi, come giovani Dc, sostenemmo la sua campagna elettorale quando si candidò al consiglio dell’appena nata Regione dell’Umbria. E quanta delusione, dopo, quando non venne eletto, per una manciata di voti, perché «ostacolato» dal suo stesso partito. Stefano, quando ci fu l’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, lanciò una proposta di governo locale insieme al Pci. Un governo forte a difesa delle istituzioni democratiche. Ma quello che lui chiamava «laboratorio» venne stoppato a Roma dalla direzione democristiana. C’è poi lo Stefano giornalista. Scriveva sulla Gazzetta di Foligno con lo pseudonimo «Etienne» e da quelle colonne lanciava proposte politiche di grande lungimiranza. Poi ci fu la parentesi Radiofonica all’appena nata Tele Radio Gente Umbra di don Novello Gammaidoni. La domenica mattina, insieme a lui, ci inventammo la trasmissione «Prima Pagina». Un appuntamento molto seguito sia a Foligno che nel resto dell’Umbria. Insieme a lui, con cui ci alternavamo ai microfoni, intervistammo personaggi di spicco del mondo politico, economico, sportivo, industriale ed ecclesiale. Furono splendidi appuntamenti, che introducevano argomenti seri con il sorriso sulle labbra e le battute fulminanti. Un modo scherzoso di affrontare i problemi con intelligenza e capacità, due doti che solo lui aveva così spiccate. Splendida una sua intervista al cardinale Pellegrino qualche settimana dopo l’elezione di Giovanni Paolo II al soglio Pontificio. Mi ritorna in mente una sua domanda provocatoria al cardinale: «Eminenza, per la prima volta un papa straniero?». E la risposta fu: «Nessuno è straniero nella Chiesa». Infine c’era anche lo Stefano sportivo. Tifoso del Foligno calcio con cui aveva giocato, raccontava spessissimo una partita contro il Perugia dove aveva segnato anche un gol. «Che soddisfazione, Roberto – mi diceva spesso – vedere quella palla rotolare nella rete del Grifo». Da qualche settimana abbiamo ripreso, su Radio Gente Umbra, la trasmissione «Prima Pagina», sempre la domenica mattina alla stessa ora, insieme a Mauro Silvestri e Alfredo Doni con lo stesso spirito che voleva Stefano. E ad ogni appuntamento, in quell’ora di dibattito, sento veramente il suo spirito-guida accanto a me. Grazie Stefano, maestro insostituibile.
Roberto Di Meo
Un personaggio folignate di primo piano
Stefano Ponti è stato mio collega di Giunta comunale nella prima Amministrazione di Centro-sinistra (1964-1969): lui, esponente di primo piano della Democrazia cristiana, Vice-Sindaco e Assessore allo Sviluppo economico ed io capogruppo consiliare del Partito socialista e Assessore ai Servizi. Dal momento che in precedenza la città di Foligno era stata sempre amministrata da una Giunta di sinistra, il nuovo governo locale, costituito in conformità con il quello nazionale, suscitò da una parte grandi attese, dall’altra una grande reazione da parte dei consiglieri del partito estromesso. Un po’ tutti noi amministratori ci sentivamo come sorvegliati speciali dall’opposizione che attendeva una nostra gaffe.
Stefano Ponti ‘smarcò’ tutti volando alto. I suoi interventi in Consiglio Comunale e in vari convegni promossi dal suo Assessorato, i suoi intensi rapporti con il mondo economico cittadino, specialmente con quello industriale e sindacale (ricordo le sue energiche battaglie politiche per tentare di salvare alcune industrie in grave crisi, come la Tipografia Salvati e le Officine Rapanelli) e la sua disponibilità all’ascolto di tutti gli oppositori facevano crescere di giorno in giorno la sua fama e la stima dei cittadini. Grazie al grande carisma e alla spiccata personalità di Stefano, mai come in quegli anni l’Amministrazione Comunale di Foligno raggiunse tanta considerazione e tanto prestigio fra la popolazione.
A trent’anni dalla sua scomparsa è ancora sempre molto vivo in me il suo ricordo. Autentico trascinatore dell’Amministrazione Comunale, Stefano era profondamente attaccato alla città di Foligno, che ha amato veramente. L’onestà e il distacco dall’ambizione personale non gli hanno facilitato la ‘carriera’ politica, anche perché, in verità, poco sostenuto dal suo partito!
Non posso non ricordare la sua sincera collaborazione nella realizzazione di due importanti iniziative: la gestione diretta dei Servizi della Nettezza urbana e quella dei trasporti cittadini appaltati e mal gestiti fino ad allora da due imprese private. Nonostante l’iniziale opposizione da parte del sindaco, del mio stesso partito e preoccupato dall’incognita del maggiore costo per le casse comunali, Stefano appoggiò la mia proposta (rivelatasi fra l’altro più economica, con un risparmio annuo di oltre 40 milioni di vecchie lire, e più efficiente) e indusse la Giunta ad esaminarla con attenzione. Essa venne accolta e sento di dovergli attribuire il merito.
Peccato che la sua signorilità, il suo stile di amministratore comunale, il suo attaccamento al ruolo di Primo Cittadino-vicario con ampie deleghe, la sua concezione della politica autenticamente democratica e aperta al confronto, non potranno essere ricordati da chi non ha avuto il piacere di conoscerlo. Stefano ha rappresentato per la nostra Foligno soprattutto un ‘segno’, un modello esemplare di pubblico amministratore, di cui si sente tanta nostalgia nel mondo politico, soprattutto di questi tempi !
Luigi Stancati
Stefano: l’uomo per la Città
Lievito, luce e sale della vita. Di questo dobbiamo parlare quando discutiamo del ruolo di Stefano Ponti. Una risorsa della nostra città, una risorsa per la nostra comunità. Come ogni risorsa, Stefano ha fatto propria quella vena profetica che mai viene colta appieno dagli uomini del suo tempo. Com’è nella storia, anche per Stefano vediamo soprattutto oggi i frutti del suo impegno. Tra questi, la volontà di aprirsi sempre e in ogni modo all’altro e alle sue idee per costruire un cammino in una società condivisa che sia di inclusione e senza esclusioni, che sia di tutti e non di pochi, che sia di confronto e non di chiusura.
Per questo, oltre all’impegno politico e sociale, Stefano fu artefice e primo significativo presidente dell’Associazione Città Viva, che su quell’impronta, sin dal 1976 e dopo 35 anni, ancora muove i suoi passi in quell’ambito prepolitico che già allora usciva dagli schemi spesso limitati dei partiti.
Appare ancor oggi significativo lo scopo dell’Associazione nata e vissuta per “organizzare una sede in cui i soci possano convenire per proporre, esaminare e discutere i vari problemi della Città e del Comune, per fornire alle autorità ed alle forze politiche e sociali indicazioni per la migliore soluzione” (dallo Statuto). Quanto di più attuale e moderno troviamo nella volontà di Stefano e dei Soci fondatori dell’Associazione rispetto ad una società che sempre più, in questi ultimi decenni, ha fatto del disimpegno politico e della delega la ragione di un Paese sempre meno coeso verso obiettivi comuni. Per Stefano Ponti e per noi nella sua scia, la politica assumeva la sua essenza tra la gente e per la gente ed ogni occasione diveniva uno strumento per raggiungere obiettivi comuni di sviluppo, libertà e democrazia. In questo vedo la sua costante ricerca di coinvolgimento dei giovani in un cammino che li portasse ad essere parte integrante della nostra comunità. Per questo, anche per questo, l’Associazione Città Viva è nata e continua idealmente a vivere nel Teatro San Carlo, fucina di generazioni che con abnegazione si sono spese prima per la libertà e poi per la democrazia del nostro Paese. Da queste esperienze, Città Viva e San Carlo, è nato e cresciuto quel pensiero dei cattolici democratici di Foligno, che, presenti nei partiti, nel sindacato e nella società, hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo di questa comunità. Grazie a Ponti e poi all’Arch. Antonelli che seguì alla presidenza di Stefano, l’Associazione Città Viva, con lo stesso spirito, può continuare in quel ruolo così attuale oggi come lo era ieri. Un ruolo attuale come lo è il pensiero di Stefano Ponti che costantemente è vivo tra noi perché lui non ci ha mai lasciato.
Carlo Elia Schoen
Un altro Ponti non c’è più stato
Da qualsiasi angolo visuale si osservi la figura di Stefano Ponti, ancora oggi emerge in maniera ricorrente il tratto più saliente della sua personalità: la vivida intelligenza (solitamente diciamo: capisce un attimo prima…), collegata ad un eloquio semplice, chiaro, per questo più convincente. Doti da politico? Risponderanno affermativamente coloro i quali scrivono la parola “politica” con la P maiuscola. Lo negherà chi “racconta” il quotidiano andare di questo Paese, in tutte le sue articolazioni, traducendo simultaneamente dall’italiano “politica” al popolare “mestiere del furbo”. Con tutto ciò che consegue.
Ecco, Stefano Ponti, furbo di mestiere non lo era proprio: né di nascita, né di crescita. Come si spiegherebbe altrimenti il fatto che, improvvisamente ma non a caso, con l’avvento del regionalismo il più autorevole esponente del mondo politico folignate, come da tutti riconosciuto, vide bloccarsi la sua ascesa ai piani alti del governo umbro? Bocciato, come consigliere della DC, alle elezioni regionali per ben due volte, nel 1970 e nel 1975 e, dal suo partito, mai messo in condizione di poter aspirare alla segreteria regionale o provinciale. Se avesse anteposta la furbizia al parlar chiaro? E furbo non lo era nemmeno quando, in quel partito come in altri, bisognava destreggiarsi nello scegliere la corrente buona, seguire le sottocorrenti, anticipare gli spostamenti del capo branco e piazzarsi per guidare il proprio gruppo di sostenitori. Ricordo, al riguardo, un episodio al quale assistetti personalmente. Eravamo presenti, nei primi anni del sessanta: Stefano Ponti, Presidente dell’Azienda di Turismo, che allora si chiamava Rosa dell’Umbria, Piero Paoli, autorevole inviato del quotidiano La Nazione ed il sottoscritto, allora collaboratore del foglio fiorentino. Oggetto del colloquio, richiesto da Piero, la posizione correntizia di Ponti mentre era avvenuto da poco un rimescolamento della corrente fanfaniana. Evidentemente interessava ai piani alti della politica sapere da che parte stava e cosa aveva in mente di fare. Con i virtuosismi della furbizia, Stefano avrebbe potuto ritagliare la sua posizione più opportuna, tenendo conto che Foligno era ed è anche la patria di Luciano Radi (fanfaniano di ferro). Invece, l’esito del colloquio consegnò all’inviato solo poche note da scrivere, perché, nonostante l’incalzare delle domande, alla fine, Stefano Ponti apparve come un democristiano convinto solo delle sue idee e non di quelle mediate e virtuali delle correnti. Mi disse Paoli: “Io ho poco da raccontare, ma lui è sicuramente un grande uomo e maestro della politica vera. Sicuramente al di sopra delle beghe correntizie”. Non era, invece, al di sopra delle parti, quando si trattava di difendere gli interessi dei lavoratori. Lo dimostrò nel 1968, da vice Sindaco ed assessore all’economia, quando sostenne la requisizione della Tipografia Salvati ed accompagnò il Sindaco Sante Brinati, socialista, ad eseguirla (caso raro in Italia); lo dimostrò ancora, quando, nel dicembre del 1970, le maestranze occuparono la Rapanelli e Stefano Ponti, allora capogruppo della DC all’opposizione, in una seduta consiliare, rispose per le rime al consigliere del PCI Gianni Barro che gli aveva chiesto di chiarire la posizione, a suo parere confusa, della stessa DC. “A parte il fatto che non accettiamo lezioni da nessuno – rispose – solo chi è in malafede può non capire la coerenza e l’impegno quotidiano della DC a favore delle maestranze”. Risposta un po’ piccata che seguiva, però, un più pacato e lucido intervento dello stesso Ponti, sempre sul caso Rapanelli, definito campanello d’allarme di una situazione economica umbra e nazionale che andava ad aggravare pesantemente le condizioni dei lavoratori. Ma, del resto, di parte lo era stato già anni prima, quando, insieme ad un gruppetto di amici, fece nascere a Foligno uno dei primi centrosinistra d’Italia. E non fu nemmeno al di sopra delle parti, quando nel 1967 Foligno, con la grande esposizione internazionale “Lo Spazio dell’immagine” divenne per due mesi la capitale mondiale dell’arte contemporanea. Non lo fu perché, nel curarla insieme al compianto amico Lanfranco Radi, il vero ideatore, Stefano Ponti sapeva bene che quella non sarebbe stata solo una mostra, ma avrebbe dovuto segnare un punto completamente nuovo, di rottura, quasi un’anticipazione di quella contestazione che era alle porte. Come lo era, appunto, accostare allo storico ambiente spaziale di Lucio Fontana opere d’arte che, abbandonati i percorsi tradizionali, si muovevano più liberamente nello spazio. Una vera e propria pre-contestazione culturale nel mondo dell’arte. Che la diceva lunga, appunto, sull’intelligenza di Stefano Ponti che “capiva sempre un attimo prima…”. Da allora è passata tanta acqua sotto i ponti del Topino. Ma, inutilmente. Un altro Ponti non lo abbiamo pescato.
Domenico Doni