Riconoscere la vita (oltre la soglia della morte)
La catechesi di Avvento del Vescovo Gualtiero sui “novissimi”
Il Vescovo Gualtiero, un po’ a sorpresa, nella catechesi di Avvento del 3 dicembre scorso, ha affrontato il tema dei c.d. “novissimi”, cioè delle realtà ultime.
Riportiamo, in sintesi, quanto i fedeli riuniti in Cattedrale hanno potuto ascoltare su paradiso, inferno e purgatorio.
“L’inferno è la condizione insopportabilmente dolorosa della separazione da Cristo, realtà tragica e necessaria, se si vuole prendere sul serio la libertà che Dio ha dato all’uomo. Lo stagno di fuoco dell’inferno rivela, paradossalmente, l’amore di Dio… È nel mistero della nostra libertà che ci appare in tutta la sua tragicità la necessità dell’inferno.
Se l’inferno è l’abisso in cui affonda l’uomo, quando riduce la libertà ad un pretesto per vivere secondo la carne, il purgatorio è l’estremo orizzonte in cui spazia lo sguardo sereno e benigno di Dio. Egli, nella sua misericordia, rende possibile una maturazione dell’amore anche al-di-là della morte. Il purgatorio non è il tempo supplementare per estinguere il debito contratto con la giustizia divina, al contrario è il tempo dell’attesa disposto in favore di coloro i quali, non avendo portato a termine il cammino di conversione nella vita terrena, non sarebbero in grado di sostenere la luce del suo volto. I confini della misericordia di Dio diventano infiniti nella realtà del purgatorio…
Se il purgatorio è la porta stretta che apre l’accesso al cielo, il Paradiso è il porto della misericordia e della pace, approdo delle aspirazioni più profonde del mondo. Grande e perfetta letizia. Gioia piena… Essere con Cristo… Vedere Dio così come egli è. E nella contemplazione del volto mite e festoso, ricevere l’abbraccio della comunione dei santi e ritrovare lo sguardo dei fratelli e delle sorelle che ci hanno preceduti”.
Ma come mai il Vescovo ha deciso di affrontare questo tema, proprio all’inizio dell’anno liturgico? Come si intonano le note della morte, dell’aldilà e, addirittura, del giudizio universale, con il festoso clima natalizio, con le luminarie, la musica allegra ai crocicchi e il trenino dei bambini che sbuffa in via Mazzini?
Spesso le nostre vite si snodano lungo i binari di un pericoloso sottinteso: che per stare sereni bisogna rimuovere il problema della morte. Accantonarlo. Non importa se relegandolo in un ospizio, in un letto d’ospedale, nella cella di un carcere o nel frigorifero di un laboratorio.
Ma possiamo vivere una vita piena rifiutando di confrontarci con la questione cruciale del suo termine? Oppure, come invita a fare il Vescovo, “per comprendere quanto è grande il dono della vita dobbiamo cercare di intuire quanto è preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi fedeli!”? Cercare di guardare la morte con gli occhi di Dio, sforzarci di avvicinarci al metro della sua misura e provare, con ogni nostra forza, a prendere qui ed ora le misure dell’aldilà?
Quello che “guidati dalle scritture e illuminati dal magistero” si può dire sull’aldilà, è una costruzione artificiale messa in piedi dalla Chiesa per spaventare i fedeli, o piuttosto la misura dell’amore di Dio nella dimensione della nostra possibilità di comprensione?
“Al termine della vita, – ci ha ricordato il Vescovo – il Signore ci chiederà se abbiamo saputo riconoscerlo nel volto dei poveri, nel volto dei fratelli, soprattutto dei più piccoli”, ci chiederà se abbiamo riconosciuto la vita, prima di tutto la vita umana, e se l’abbiamo servita, come la cosa più preziosa. Alla sera della vita saremo giudicati sull’amore. Ma non lo siamo forse già ora?