Costruzione del bene comune: dall’agenda alle strategie
Si è svolto il 26 novembre scorso il convegno promosso dalla Conferenza Episcopale Umbra
È ormai chiaro che la cura del bene comune non può essere delegata in toto alla politica. La poliarchia, cioè il riconoscimento di una distribuzione del potere tra più soggetti i quali, ciascuno per la propria parte, possono contribuire alla sua costruzione, prima che una diretta conseguenza del principio di sussidiarietà, o una citazione dell’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate”, è una realtà che le scienze sociali hanno ormai inquadrato con sufficiente chiarezza e che si pone al ragionevole vaglio della comune osservazione.
È anche convincente, ancorché non sempre emerga con sufficiente consapevolezza, che il valore che presiede alla costruzione del bene comune deve essere ricercato in quella “eccedenza della vita umana” rispetto alla quale ogni forma di organizzazione del potere (anche quella statale) appare come contingente.
Stanti dunque i punti di arrivo della riflessione della Chiesa e, per quanto ci preme, della Chiesa in Umbria, quali sono i passi da compiere e quali difficoltà ci attendono nel compierli?
L’incontro convocato dai Vescovi umbri si pone a questo punto del sentiero della riflessione e Luca Diotallevi, che ha curato la relazione introduttiva, illustra gli scogli da superare per passare alla fase delle strategie concrete.
Il primo ostacolo è costituito dalla necessità di operare attraverso azioni collettive, piuttosto che comportamenti individuali. Ma quale senso può avere oggi, molti anni dopo la c.d. fine dell’unità politica dei cattolici (c’è mai stata?), riaffermare la necessità di definire una comune strategia di impegno?
Il secondo scoglio è rappresentato dal fardello di una recente eredità, quella della stagione della supplenza clericale nei confronti del laicato. Meritevole, per certi versi, necessaria, forse, ma ormai in via di definitivo superamento. E che sia stagione ormai alle spalle lo testimonia il clima di ascolto costruito dai Vescovi umbri.
Che cosa serve dunque per ricostruire un laicato capace di esercitare pienamente la propria vocazione di illuminare ed orientare a Dio le cose temporali?
Su questo versante sembrano arrivare i contributi più incisivi, a volte anche sferzanti, ma anche le prospettive più impregnate di ecclesialità.
Una prima indicazione è quella di fuggire la tentazione dell’anabattismo, l’idea, cioè, che bisogna ricominciare ogni volta tutto da capo, che la storia di ogni uomo (ed in particolare di ogni battezzato) non sia già una storia di salvezza.
La seconda indicazione è quella di restituire la giusta forma alla “Ecclesia”, riassegnando a ciascun membro il proprio ruolo, e, per farlo, partire dalla chiarezza con la quale ciò si esprime nella liturgia, “fonte e culmine” della vita cristiana. Se i laici sono semplicemente consumatori di beni religiosi, come possono contribuire dall’interno alla santificazione del mondo come richiede il Concilio? E se i laici sono guardati solo come ministri in potenza, come svilupperanno la propria vocazione laicale?
In questa prospettiva vanno accolte la notazioni di Mons. Paolo Giulietti, il quale, nel sintetizzare i lavori di uno dei gruppi di studio, ha affermato che “la scarsità del clero è una profezia disattesa” e che occorre “porre un freno alla ministerializzazione dei laici” puntando piuttosto su percorsi di formazione laicale.
Ma sono oggi riproponibili le forme organizzative e metodologiche dell’Azione Cattolica dei primi decenni postconciliari?
Quali esemplarità di impegno laicale possono essere proposte oggi ai giovani?
In quali ambiti si esprimono e dove, invece, sono carenti?
Un ultimo quesito attende di essere posto in tutta la sua chiarezza. Perché se è vero che viviamo in una stagione poliarchica, è anche pacifico che la politica -in senso stretto- ha un ruolo ancora preminente nella concretizzazione del bene comune.
Come sarà possibile restituirle la dignità che merita?
Come poter tornare ad assegnare all’ambito politico la priorità tra quelli nei quali realizzare il compito di santificazione del mondo che il Concilio affida ai laici?
I nostri pastori stanno profondendo risorse per avviare questo percorso, ma i frutti dipenderanno dalla dinamicità e, direi, dallo “spirito d’impresa” del laicato perché, come ha ricordato Diotallevi, questa è opera tipicamente laicale e la supplenza clericale è già acqua passata.
© Gazzetta di Foligno – VILLELMO BARTOLINI