Sanità virtuosa e virtuale
La sanità umbra dice di essere in buona salute rispetto ad altre regioni, ma non tutto sembra andare per il verso giusto, perlomeno secondo i malati e le associazioni che auspicano maggiore trasparenza e minore autoreferenzialità nella gestione della sanità regionale. Nel 2011, ad esempio, c’è stato l’appello del Comitato: La salute al primo posto (www.superando.it) rivolto all’Umbria per “l’applicazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e il rispetto del DM 279/2001 sulle malattie rare”. Ma le risposte, nonostante i solleciti, sono rimaste al palo. L’anno prima, sullo stesso problema, si era mosso il sen. Ignazio Marino, in qualità di Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale, sollecitando la Presidente C. Marini a prendersi cura di alcuni pazienti umbri affetti da DCCM (disfunzioni cranio-cervico-mandibolari), definita anche con il termine di “malocclusione”. Ed anche quella volta, informa il sito www.arianuova.eu, le risposte sono risultate evasive e inoperose, e i pazienti ancora attendono una qualche soluzione ai loro problemi. Un po’ di storia può aiutare a capire. Nel Piano Sanitario Regionale 2003-2005, l’Umbria aveva previsto sia l’assistenza indiretta (con la quale il disabile o il malato potevano ricevere assistenza domiciliare), sia l’assegno di cura (utile allo scopo); poco dopo, però, sia l’una che l’altro vennero lasciati cadere, restando solo l’assistenza diretta. Non così in altre regioni, se l’INAIL il 13 novembre dello scorso anno ha potuto affermare che “l’Umbria è tra le poche regioni a negare il diritto di scelta tra l’assistenza diretta e quella indiretta”. C’è anche chi dice che la nostra Regione ha finito col discriminare e rendere difformi i diritti costituzionali alla salute dei cittadini rispetto ad altre regioni. I pazienti e le associazioni sopra ricordati sono del parere che le scelte regionali abbiano portato, nella fattispecie, ad un’inadeguatezza terapeutica, assistenziale ed organizzativa. Lo stesso saldo negativo della mobilità sanitaria – sono più i pazienti umbri che vanno fuori regione rispetto a quelli che vengono in Umbria per farsi curare – attesterebbe, secondo loro, la carenza di talune strutture, conseguenza, questa, di scelte politiche che continuano a preferire la costruzione di nuovi piccoli ospedali rispetto al miglioramento e alla valorizzazione delle strutture esistenti. A seguito dei cambiamenti della Costituzione che hanno toccato la sanità, al legislatore non era sfuggito il timore della disparità di trattamento tra le regioni anche per quanto riguarda le malattie rare, per questo il Ministero avrebbe dovuto controllarne gli esiti. Lo stesso avrebbe dovuto fare la Commissione parlamentare, istituita peraltro con molto ritardo e di fatto poco vigilante. Altro controllo spetterebbe al Consiglio dei Sindaci e ai Comitati consultivi di associazioni e cittadini. Questi ultimi si muovono. E gli altri? Certo è che l’Umbria deve fare chiarezza, perché – dicono gli interessati – “per la salute delle malattie rare e DCCM tutto è ancora sulla carta”. Più che virtuosa, qui la sanità pare essere virtuale.
ANTONIO NIZZI